L’inizio dell’anno scolastico in Lombardia è stato segnato da tre tentativi di suicidio in poche ore. Tre adolescenti, tra i 12 e i 15 anni. Episodi che avrebbero dovuto aprire un dibattito. Invece nulla. O quasi. Eppure quella dei suicidi è una pandemia: secondo l’Oms, nel mondo, tra i giovani dai 15 ai 29 anni è la quarta causa di morte. Perché tutto questo? Quello che è certo è che il fenomeno pare legato alla diffusione dei disturbi depressivi.
E perché siamo depressi? La risposta spetterebbe ai clinici, per cui è forse utile citare i francesi Miguel Benasayag e Gerard Schmit che, agli albori del nuovo millenio, evidenziavano il cambio di paradigma dal “futuro-promessa” delle generazioni precedenti al “futuro-minaccia” dei contemporanei.
Il futuro, ci sia consentito di aggiungere, di generazioni a cui era stato promesso un domani idilliaco-meccanico, in cui, morta ogni grande narrazione, la vita sarebbe stata un susseguirsi di tappe consequenziali: studiare, realizzarsi professionalmente e, infine, economicamente. Purtroppo la realtà è stata del tutto diversa: squilibri crescenti, l’accento sempre più posto su una logica della competizione in ogni ambito dell’esistenza (figlia della ”religione” globale mercatista) e, infine, crisi e precarietà. Eppure continuiamo a raccontarci che il nostro sia il migliore dei mondi possibili. Ne siamo davvero sicuri?