Che forma avrà l’economia del futuro? E, soprattutto, sarà ancora compatibile con quelli che dovrebbero essere i valori fondanti per la rigenerazione di ogni comunità umana: solidarietà, cooperazione, condivisione? È di questi giorni la notizia di un terribile incidente stradale occorso, in Brianza, a un rider che, mentre correva in bicicletta tra una consegna e l’altra, è stato travolto da un’automobile, subendo poi l’amputazione di una gamba.
L’accaduto solleva (di nuovo) la questione dei diritti nell’era di un capitalismo senza freni che, nella rincorsa alla competitività, rischia di erodere, progressivamente e inesorabilmente, dignità e sicurezza sul lavoro. Si tratta di un modello che, stando ai più recenti dati Oxfam, contribuisce a produrre un benessere sempre meno diffuso. Anche in Italia, dove, nelle mani del 5% più abbiente, c’è ormai una quota di ricchezza superiore a quella dell’80% della popolazione. Per cambiare rotta servirebbe, soprattutto, la combattività di chi, più degli altri, dovrebbe preoccuparsi dell’avvenire: le giovani generazioni. Eppure proprio loro, i giovani, vittime principali di questo stato di cose, sembrano, oggi più che mai, anestetizzati e disillusi, quando non addirittura convinti che questa situazione sia, in fondo, il naturale prodotto di leggi del mercato che non si possono discutere. È triste. Lo è parecchio.