L’editoriale del direttore: il crollo delle nascite (e della speranza). Ci stiamo rassegnando al declino

Non può non preoccupare l’ultimo dato Istat sulle nascite in Italia che, nel 2022, sono scese sotto quota 400mila per la prima volta dall’Unità nazionale, cioè dal 1861.
Cristiano Puglisi
Cristiano Puglisi

Ogni nascita è sinonimo e sintomo di speranza. La speranza in un avvenire verso il quale si proietta il destino della propria famiglia, della propria storia. Se quest’equazione è vera, e lo è, non può non preoccupare l’ultimo dato Istat sulle nascite in Italia che, nel 2022, sono scese sotto quota 400mila (per la precisione 392.598, 8mila in meno rispetto all’anno precedente) per la prima volta dall’Unità nazionale, cioè dal 1861. Non solo: dal 2018 a oggi la popolazione residente nel belpaese è crollata di oltre un milione di unità.

Raramente lo si sente dire in convegni per addetti ai lavori della politica e dell’economia, eppure con questi numeri qualsiasi elucubrazione su una possibile ripresa economica è destinata a restare una mera speculazione di fantasia. Perché se oggi le imprese lamentano la mancanza di manodopera qualificata per poter restare competitive (un tema che sul nostro giornale, voce di un territorio caratterizzato da un vivace e importante tessuto produttivo, affrontiamo spesso), tra pochissimi anni il problema sarà invece quello, ben più grave, dell’assenza di lavoratori (e di consumatori) tout court.

Bisognerebbe sperare in un cambio di rotta, ma in realtà la sensazione, terribile, è che ci si stia progressivamente rassegnando a un declino a tutto tondo (non solo economico e sociale) che non ha precedenti.