Lavoro e intelligenza artificiale: più ricchezza, ma occupazione a rischio. E avvocati e contabili tremano

L’esame di un’indagine di Censis e Confcooperativesugli effetti dell’applicazione dell’intelligenza artificiale in Italia.
Intelligenza artificiale tecnologia - foto Rawpixel/Freepik
Intelligenza artificiale tecnologia – foto Rawpixel/Freepik

Più ricchezza per il nostro Paese, meno opportunità di lavoro per la gente normale? La domanda è legittima e a innescarla è l’esame di un’indagine sugli effetti dell’applicazione dell’intelligenza artificiale in Italia. Il focus sulla questione, assemblato dal Censis e da Confcooperative, è in effetti in grado di dare qualche preoccupazione al signor Rossi, prototipo dell’italiano che ha uno stipendio e un dignitoso tenore di vita.

Lavoro e intelligenza artificiale: l’inchiesta di Censis e Confcooperative

In base alle previsioni dell’inchiesta “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?grazie all’IA, il Prodotto interno lordo entro il 2035 crescerebbe dell’1,8%, per un controvalore di 38 miliardi di euro. Un’ottima prospettiva, ma magari è meglio aspettare a festeggiare. Anche perché l’IA metterebbe a rischio i posti di 6 milioni di lavoratori. Altri 9 milioni, invece, dovrebbero integrare le proprie mansioni con quelle di un collega invadente e super preparato, l’intelligenza artificiale appunto. Il signor Rossi, fatti due calcoli, inizia a temere che il futuro sia già arrivato. Anche nel suo ufficio.

«Un conto economico in chiaro scuro – commenta Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative – quello che l’intelligenza artificiale si appresta a presentare al nostro Paese. Questi dati dimostrano come il paradigma vada subito corretto: la persona va messa al centro del modello di sviluppo con l’intelligenza artificiale al servizio dei lavoratori e non viceversa».

Lavoro e intelligenza artificiale: le professioni più a rischio

In pratica, le professioni più a rischio sono quelle intellettuali automatizzabili, come contabili e tecnici bancari. L’elenco dei professionisti ad alta complementarità comprende pure avvocati, notai, magistrati e dirigenti. «Il grado di esposizione alla sostituzione o complementarità – precisa la ricerca – aumenta con l’aumentare del livello di istruzione, come dimostra il dato secondo cui nella classe dei lavoratori a basso rischio il 64% non raggiunge il grado superiore di istruzione e solo il 3% possiede una laurea».

L’indagine evidenzia anche come «i dati dimostrino impietosamente come sia necessario investire di più e meglio in ricerca e sviluppo. L’Italia investe l’1,33% del PIL rispetto alla media europea del 2,33%. L’obiettivo UE è arrivare a una media del 3% per il 2030, soglia già superata dalla Germania che investe il 3,15%, mentre la Francia investe il 2,18%, più di noi, ma lontana dall’obiettivo fissato per il 2030».

Lavoro e intelligenza artificiale: i numeri del Censis

Secondo una recente rilevazione Censis, il 20/25% dei lavoratori utilizza strumenti IA sul luogo di lavoro. Nel dettaglio, il 23,3% ricorre all’IA per la scrittura di e-mail, il 24,6% per messaggi, il 25% per la stesura di rapporti e il 18,5% per la creazione di curriculum.
I numeri salgono al diminuire dell’età, come dimostra il 35,8% tra i 18-34 anni che utilizza IA per la stesura di rapporti contro il 23,5% tra chi ha più di 45 anni o il 28,8% dei più giovani che la usano per la scrittura di e-mail, a fronte di un 21,9% della fascia di popolazione che ha più di 45 anni.

«Sul fronte occupazionale – viene spiegato – si stima che entro il 2030 circa il 27% delle ore lavorate in Europa sarà automatizzato. I settori più esposti sono la ristorazione (37%), il supporto d’ufficio (36,6%) e la produzione (36%), mentre quelli meno impattati sono la sanità e il management. L’Italia mostra un ritardo significativo nell’adozione dell’Intelligenza Artificiale rispetto ad altri paesi europei. Secondo il Government AI Readiness Index 2024, l’Italia si posiziona al 25° posto, dietro a 13 Paesi europei».