Avrebbe potuto stupire ancora più di lunedì? Sì. L’ha fatto? Sì. La seconda data di Bruce Springsteen a San Siro, chiusura del tour europeo, giovedì 3 luglio è stata una di quelle buone ad alimentare una volta di più il mito del Boss a Milano: lo stadio è speciale, lo ama ricambiato, San Siro lo emoziona e si emoziona regalando a tutti i presenti – artisti compresi – una serata che non si dimenticherà.


Bruce Springsteen e San Siro, storia di un amore: le coreografie e la scaletta cambiata
Quando esce sul palco Springsteen è accolto dalla coreografia resa possibile dai fan di Our Love is Real: di fronte c’è lo striscione su campo tricolore appeso al secondo anello che rimanda a Born to Run, intorno un gioco di fogli colorati che crea la scritta “See me in your dreams”.
“Only in San Siro” dice lui che sa già come deve andare e regala la prima magia: la scaletta non è quella della prima sera (ovviamente) né quella ipotizzata/anticipata dagli alchimisti e lo show si apre con My Love Will Not Let You Down seguita da Prove it all night e Darkness on the edge of town. Nessuno l’aveva previsto.
Springsteen è ancora più in forma, supera alla grande qualche incertezza tecnica del suono, avanza rock e potente. La E Street Band non è da meno e lo segue energica senza perdere un millimetro con Little Steven tornato di fatto in ruolo dopo l’operazione di appendicite e la breve convalescenza.
Bruce Springsteen e San Siro, storia di un amore: il fantasma di Trump non può rovinare la festa
È il tour di Land of hope and dreams e la rabbia per quanto già raccontato lunedì sera – e per tutto il tour – di un’America che sta subendo i colpi di un presidente e una politica “inadatti” (“unfit”) dà l’impressione di voler lasciare spazio proprio “ai sogni e alle speranze”. Deve essere una festa, una festa del rock’n’roll e il fantasma di Trump non deve rovinarla. Perché alla fine della giornata “rimaniamo noi l’uno per l’altro” ed è questo che deve contare: fare ognuno la propria parte, far sentire la propria voce per far prevalere la democrazia sull’autoritarismo di chi sta prendendo a spallate i diritti civili acquisiti.
È la parte di spettacolo che si ricama su Land of Hope and Dreams, Death to My Hometown, Rainmaker e The Promised Land.
Lo stadio è totalmente conquistato, il pubblico da tutto il mondo canta, si muove, alza le braccia come a una messa cantata, ognuno la sente a modo proprio in uno scambio continuo di energie: perché anche sul palco arriva il ritorno dell’adrenalina e non può che fare bene allo show.
Springsteen, come sempre, si regala al suo pubblico e lo mette in primo piano: lo fa essere protagonista facendogli cantare le canzoni, dirigendo e seguendo lui lo stadio. Hungry Heart, The river fino a Because the night e Thunder road che apre i bis e accende le luci. Torna Born in the Usa e poi Born to Run per il bis della coreografia che sembra emozionare sinceramente il Boss e la sua band negli sguardi regalati al pubblico.
Bruce Springsteen e San Siro, storia di un amore: il secondo bis dopo i bis
I bis corrono, davvero può finire tutto con Tenth Avenue Freeze-Out, Twist and Shout e Chimes of Freedom? Tutto direbbe di sì e invece no. L’elettricità nell’aria calda di Milano resiste e allora “one more? One more”. È Rockin’ All Over the World di John Fogerty e chi è più esperto dice che era stata la chiusura del concerto del 1985, il primo San Siro.
Lo stadio canta con Springsteen e continua anche mentre esce e regala un ultimo sguardo a quel luogo per lui magico. Tornerà? Ovvio che tutti sperano che sia un arrivederci ma chi può saperlo, per diverse ragioni comprese quella anagrafica (del Boss) e del futuro (dello stadio). Parte Woody Guthrie (This Land Is Your Land) ed è l’ora dei saluti.
Caro Bruce, o caro management, pensate di trasformare le due serate di San Siro 2025 in un dvd o in qualsiasi altro supporto video. Ne varrebbe la pena.