Il saluto di Monza a Giuseppe Fassina: l’affetto della famiglia, il ricordo di chi ha lavorato con lui

Giuseppe Fassina si è spento a 97 anni. I funerali si sono celebrati martedì mattina alla chiesa di Santa Maria al Carrobiolo, la “sua” chiesa dove in tanti si sono ritrovati.
MONZA GIUSEPPE FASSINA
MONZA GIUSEPPE FASSINA Radaelli Fabrizio

Monza ha salutato una delle sue figure più carismatiche: Giuseppe Fassina si è spento a 97 anni. I funerali si sono celebrati martedì mattina alla chiesa di Santa Maria al Carrobiolo, la “sua” chiesa dove in tanti si sono ritrovati.

Ex allievo del Liceo Classico Zucchi, laureato all’Università Cattolica di Milano con una tesi su Teodosio e i Teodosiani, era un umanista con delle spiccate doti da manager. Nel 1950 inizia la sua carriera da dirigente all’Eni, a fianco di Enrico Mattei. Qualche anno dopo entra come direttore generale alla Sea, la società che gestisce gli aeroporti di Milano, restandovi per trent’anni.


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Il suo carisma e il suo operato lo ricordano ancora in tanti, come ha testimoniato un ex dipendente che ha voluto omaggiare “personalmente e a nome dei colleghi” durante l’estremo saluto “un uomo giusto che con poche risorse a disposizione ha saputo trasformare la Sea in una moderna ed efficiente azienda aeroportuale, riconosciuta a livello nazionale e internazionale, un modello industriale al quale molti si sono ispirati, compresa la società che gestisce gli aeroporti di Roma”.

Il ritratto di Fassina tracciato da chi ha lavorato con lui è quello di una persona “dotata di una grande carica umana, carismatica ma democratica, autorevole ma mai arrogante”.

Classe 1924, cattolico (si era occupato per la Curia di Milano della costruzione di nuove chiese e oratori nel dopoguerra collaborando con l’allora arcivescovo Montini divenuto papa Paolo VI), Fassina era di casa al Cittadino, soprattutto all’epoca della direzione di Giuseppe Galbiati, suo amico e rotariano come lui. Amava profondamente Monza, alla quale aveva dedicato alcune delle sue numerose pubblicazioni, ma come hanno ricordato figli e nipoti, profondamente commossi, “non era campanilista, era attratto da culture diverse che voleva conoscere e scoprire, spinto dalla sua curiositas, l’espressione più alta dell’intelligenza che mira a vedere e a sapere per amore della verità”.

“Nostro padre – hanno concluso i figli – ha ricevuto talenti che si sono moltiplicati in prospettive diverse, nella famiglia, nel lavoro, nel sociale e nella cultura. Ci ha insegnato ad agire sempre secondo giustizia ed equità e ci ha lasciato con la riservatezza e la dignità che lo hanno sempre contraddistinto in vita”.