Come si tornerà al lavoro? I mezzi pubblici saranno di nuovo affollati? Ci sarà paura nel prenderli da parte degli utenti? Oppure si continuerà a viaggiare su vagoni stipati di gente all’inverosimile? E le nuove infrastrutture pensate prima della grande pandemia hanno ancora senso? Chi ha provato a tracciare lo scenario (anzi, due scenari) di quello che ci aspetterà alla (graduale) ripresa dell’attività lavorativa è Matteo Colleoni, professore ordinario di sociologia dell’ambiente e del territorio della Bicocca e delegato della rettrice per la sostenibilità.
Professore, come cambierà il nostro modo di andare al lavoro?
«Non sappiamo quale possa essere la reazione della gente su tanti aspetti. Nel campo dei consumi, del lavoro, del divertimento e della mobilità, per fare qualche esempio. Quello che prospettiamo, nel caso specifico della mobilità, è che nei primi periodi ci sarà una riduzione dell’uso del mezzo pubblico a vantaggio del mezzo privato. Questa situazione è già stata osservata nella fase iniziale dell’emergenza, quando c’era il virus ma non l’allarme sociale così forte. Le persone usavano di più le auto. E questo, dunque, sarà un primo effetto negativo del post virus».
Quanto durerà questa fase?
«Non lo sappiamo, dipende anche dall’evoluzione del contagio. Se si ridurrà in maniera drastica, durerà poco. Se avrà una coda, la mobilità privata durerà più a lungo. Dobbiamo pensare alla nostra storia recente. Un altro evento che ha scosso il mondo sono stati gli attacchi terroristici come Madrid e Londra dove i terroristi hanno colpito a bordo di mezzi pubblici. Ci aspettavamo che nella fase successiva a questi eventi drammatici ci sarebbe stato forte decremento dell’uso dei mezzi pubblici. C’è stato, ma non è durato lungo. In 4-6 mesi si è avuta una ripresa totale. La stabilizzazione porterà al ri-utilizzo del mezzo pubblico. Aggiungo, però, che se avessimo un sistema di infrastrutture che facilita la mobilità attiva, ad esempio la bicicletta, la fase post emergenziale sarebbe grandemente favorita. La bici, ad esempio, è un mezzo sì privato, ma ecologico. Delle persone che si spostavano con mezzo pubblico potrebbero optare per usare la bicicletta o spostarsi a piedi. Faccio un esempio concreto. Se nella fase post emergenza ci fosse stato un serio collegamento ciclabile tra Monza e Milano (come progettato ad esempio in Mimo, la prima greenway metropolitana: un corridoio verde di 15 km che correrebbe su un viale Sarca completamente riqualificato, ndr.), con un percorso anche coperto, tanti monzesi potrebbero utilizzare la bici per andare a Milano e non il mezzo pubblico. Così, parzialmente, la paura iniziale nell’avvicinarsi a treni o metrò potrebbe trovare una soluzione alternativa».
Non è comunque pensabile spostare tutti i lavoratori su una bici.
«Scopo della mobilità pubblica è spostare grandi flussi di persone: non penso a uno spostamento totale verso la mobilità attiva da quella pubblica. La mobilità ciclistica è da aumentare, ma non può spostare l’intera area metropolitana milanese. In questo senso la comunicazione di chi gestisce i servizi di trasporto pubblico può fare molto: può far vedere gli interventi di manutenzione, di cura dei mezzi, la loro disinfezione. Un’immagine positiva potrebbe accorciare i tempi».
Le infrastrutture pubbliche fin qui solo progettate sono a rischio?
«Nessuno potrà dire che l’allungamento metropolitana non sarà utile».
Ci sono settori economici che soffrono e soffriranno a lungo, come il turismo. Come ne usciranno?
«Tutto dipenderà da quanto la pandemia. Già sembra molto più lunga di quanto pensavamo un mese fa. Ma il rischio è un altro».
Quale?
«Se verrà superata la crisi, entro l’estate, diciamo che con l’autunno il rischio e la paura che attanagliano le persone si potrebbero abbassare e questo consentirebbe la ripartenza anche delle attività turistiche. Ma il comportamento turistico è un bisogno di lusso. Qui entreranno in gioco altre questioni: non che le persone non vorranno fare i turisti, ma se le persone avranno i soldi per farlo. Ci sarà una minore disponibilità economica da parte delle famiglie. E un bilancio più basso da destinare al turismo, al divertimento. Ci aspettiamo che ci sopravvivrà, economicamente, parlando, al Coronavirus dovrà far lavorare i dipendenti nei mesi estivi. Quindi agosto sarà un mese lavorativo. Ci sarà un aumento del turismo nazionale, anche perchè quello raggiungibile più velocemente con la vettura privata. Questo va bene perché distribuirà le risorse alle nostre aziende, ma andarci in automobile non sarà il massimo».
Cosa ci porteremo dietro da questa emergenza?
«Mi chiede se riporteremo alla normalità gli aspetti più virtuosi che abbiamo adottato in questa fase? Io sono un po’ scettico su queste aspettative, non credo che si verificherà questo. Penso che le persone abbiano voglia di uscire di casa e riprendere la loro vita normale, ricca di attività, movimenti e consumi. Lo faranno in maniera oculata e più attenta, ma ci sarà ritorno alla normalità».
E se la crisi dovesse andare oltre l’estate?
«Tutto quando ho detto finora è destinato a cambiare. Se avrà la durata di un anno, le cose saranno diverse. Avrà conseguenze radicali. Un anno è tantissimo. Adesso le persone sono allarmate perché le restrizioni dureranno fino a metà aprile. Il tempo viene calcolato in maniera diversa oggi rispetto, ad esempio, alle grandi pestilenze del passato che duravano decenni. Oggi un mese viene percepito come un tempo lunghissimo. Quello che ho raccontato fin qui vale per i comportamenti della prossima estate. Se la crisi avrà una durata più lunga, fino all’inverno diciamo, le conseguenze saranno difficili da prevedere. Un comportamento che si radicalizza nel corso di un anno intero in una persona, sarà difficile da modificare».