I brianzoli? Sono grandi risparmiatori, anche nei momenti di crisi. Questo lo si sapeva, è nel nostro dna. Questa volta a certificarlo sono l’Abi (l’associazione che raggruppa le banche) e Bankitalia dopo oltre un anno e mezzo di pandemia.
Secondo le ultime elaborazioni rese pubbliche dai due enti, infatti, la mole di denaro tenuta ferma sui conti correnti delle banche presenti sul nostro territorio è salita dell’8,6% da inizio 2020. Merito soprattutto delle famiglie che hanno contribuito per quasi il 72% a questa cifra, ma anche delle imprese che, in un momento di forte incertezza, hanno preferito rimanere ferme rinunciando agli investimenti. Che poi tenere fermi i soldi in banca sia un bene o un male, è questione di punti di vista.
Il deposito medio in banca di ogni brianzolo (persona fisica o azienda) ammontava, a maggio, a 32.100 euro. Come al solito, bisogna fare i conti coi polli di Trilussa: essendo una media, ci sarà chi è molto al di sotto di questa cifra, compensato da chi è molto al di sopra.
Una fotografia, quella brianzola, che riproduce fedelmente anche la condizione generale in cui si trova l’Italia intera. Secondo l’Abi a fine maggio le somme depositate sui conti correnti sono aumentate dell’8,2% rispetto allo stesso mese del 2020. Un balzo record che, tradotto in numeri pratici, significa flussi per oltre 135 miliardi di euro in più, per un totale di 1.774,6 miliardi di euro. In pratica, quasi l’intero Pil nazionale. Ma ancor meglio, con l’8,6% hanno fatto, come abbiamo detto, i brianzoli.
«Questi numeri ben evidenziano il clima di incertezza in cui vivono le famiglie brianzole, un clima che percepiamo ogni giorno nel nostro lavoro sul territorio – spiega Massimiliano Melegari, Area Manager di Banca Generali Private in Lombardia-. In momenti come quello che stiamo attraversando, rifugiarsi nella liquidità è la scelta più immediata per tutti quegli investitori dal profilo di rischio prudente. Occorre però fare molta attenzione perché le trappole possono essere dietro l’angolo».
E tra queste trappole ce n’è una che andrebbe davvero presa sul serio, ovvero quella che potrebbe scattare in caso di ritorno dell’inflazione. Dopo essere stata tenuta a bada dalle banche centrali per qualche anno, infatti, l’inflazione si sta rapidamente riprendendo la scena sui mercati e minaccia di erodere nel lungo periodo una parte non indifferente del risparmio detenuto dalle famiglie. L’allarme arriva ufficialmente dagli Usa dove, nel mese di giugno, l’indice dei prezzi al consumo è salito del 5,4% su base annua, ben oltre le attese degli analisti.
Una situazione che al momento sembra limitarsi solamente agli Stati Uniti ma che, come confermato dalla Bce, potrebbe presto estendersi anche all’Europa e all’Italia. Trovando terreno fertile in un contesto in cui il record di depositi deve fare i conti con remunerazioni prossime allo zero. In Italia (dato Abi) il tasso di interesse dei conti correnti è oggi intorno allo 0,03%, praticamente azzerato. Il tutto senza considerare il 26% di tassazione che lo Stato esige per gli interessi sulla liquidità e i costi in continua crescita presso molti istituti nazionali. «In uno scenario come questo, è evidente che tenere tutta la liquidità ferma su conto corrente non solo può portare alla perdita di valore nel lungo periodo, ma anche di tutte quelle opportunità che offrono attualmente i mercati». conclude Melegari,.