È più di un vino: è il «frutto di un sogno» cullato a lungo. Così Paolo Porfidio, l’head sommelier dell’Hotel Gallia di Milano, presenta il suo “Pigmento di vigna Rosso Porfidio” che ha debuttato poche settimane fa e che è entrato nella lista dei cento migliori vini d’Italia di Golosaria compilata da Paolo Massobrio e Marco Gatti. Si tratta di un’altra soddisfazione straordinaria per il brugherese che, a soli trentasei anni, ha già ottenuto numerosi riconoscimenti in Italia e all’estero tra cui il titolo di Miglior sommelier dell’anno assegnatogli nel 2023 da Identità Golose.
Brugherio: Paolo Porfidio e il suo Pigmento rosso

Dietro all’ennesimo premio c’è un progetto che nasce dalla passione: «Durante la pandemia di covid-19 – afferma Porfidio – si è risvegliato l’interesse per l’enologia che avevo accantonato quando ho iniziato a fare il sommelier in ristoranti stellati a Londra e in Italia e a occuparmi di comunicazione. In quei mesi in cui tutto era fermo ho sentito la voglia di produrre un vino tutto mio». L’esperto ha impiegato oltre un anno a trovare una vigna all’altezza delle aspettative e l’ha individuata a Castelnuovo Berardenga, sulle colline senesi: lì, in un piccolo podere con viti di venticinque anni, ha iniziato a produrre il suo Pigmento rosso, un sangiovese destinato all’invecchiamento. «Ha bisogno di un lungo affinamento in cantina – spiega – dopo la vinificazione in cemento riposa ventisei mesi in barrique ed è pronto dopo quasi tre anni dalla vendemmia». La disponibilità è limitata: «Si ferma a poco più di tremila bottiglie – precisa – destinate perlopiù ai ristoranti più affermati e alle migliori enoteche. È un vino ricercato, che mi sta dando parecchie soddisfazioni».
Brugherio: Paolo Porfidio e l’etichetta rinascimentale
Con il progetto è nata anche una interessante collaborazione artistica: «Le vinacce in genere vengono distillate per fare la grappa – racconta Porfidio – io, invece, ho chiesto all’artista Francesco Fossati di estrarre un pigmento da utilizzare per l’etichetta. Per lui è stata una vera sfida in quanto ha dovuto risalire ai procedimenti utilizzati nel Rinascimento: alla fine è riuscito a ottenere il colore che, proprio perché naturale, varia di anno in anno e con il passare del tempo si modifica» sulla carta.
Per il momento il brugherese non ha in programma la creazione di altri vini: «Sono concentrato su questo – dice – è l’espressione più autentica del Sangiovese, ma anche l’esito dei miei studi e dei miei viaggi. Continuo, inoltre, a lavorare all’Hotel Gallia, a tenere corsi di formazione in diversi istituti e università e a collaborare con alcune riviste». E dire che tutto è nato dalla curiosità con cui da bambino osservava il papà imbottigliare il vino acquistato nelle damigiane: «Quando ho scoperto che all’Università Statale c’era un corso in viticoltura ed enologia l’interesse è ritornato e mi sono iscritto – dice – dopo gli studi mi sono dato da fare, ho girato il mondo, ma tutto è diventato semplice perché ho la fortuna di poter unire la passione al lavoro».