Monza: dare un volto alla poesiaIl registro fotografico di Casetta

Al Binario 7 di Monza l'anteprima nazionale del Registro fotografico dei poeti italiani, il lavoro di Simone Casetta che censisce le voci più importanti della lirica italiana. Dare un volto alla poesia con stampe al platino palladio, tecnica dell'Ottocento che, come i versi, muoiono solo se muore la carta.
Monza: dare un volto alla poesiaIl registro fotografico di Casetta

Monza – Che occhi hanno le parole? E che naso, che bocca, quali orecchie cui ripetere i versi che si scrivono? “ebreo errante/ ho vagato tutta la vita/ lungo il labirinto della mente/ ricorrendo il senso del Tutto/ beffato dalle anguste apparenze/ schiavo delle strettoie della ragione/ prigioniero della gravità”: loro hanno una faccia disincantata, uno sguardo sufficiente, un pugno cui appoggiarla per non prendersi mai più, e definitivamente, sul serio: le parole di Arturo Schwarz hanno quei lineamenti, infilati su un negativo di quindici centimetri di lato è da lì a una carta inzuppata di platino palladio.

Così lo ha guardato e così lo ha stampato Simone Casetta, così come ha descritto l’evanescenza sincera di Maria Luisa Spaziani o lo sguardo divertito di Franco Loi appoggiato a un albero di chissà quale parco milanese. Lo ha fatto per loro e per venti poeti italiani in tutto, ma la lista è lunga: sono centocinquanta quelli che dovrebbero comporre il “Registro fotografico dei poeti italiani” che ha come data di debutto ufficiale il 23 febbraio del 2012.

Monza, Binario 7, PoesiaPresente: il registro parte da lì, con la presentazione dei primi quindici lavori del progetto ideato dal fotografo che da trent’anni esplora le declinazioni possibili della camera oscura. «E senza mai avere avuto una macchina digitale». «Tutto è iniziato con Raffaello Baldini» racconta, un poeta che ha voluto conoscere e incontrare e poi, con lui, registrare la voce recitante i versi per anni. Saranno un quadruplo cd per il dialetto e l’italiano, presto, ma è stato quell’incontro a suggerirgli l’idea che non è solo la voce a restare sconosciuta, dei poeti, ma anche il volto – nella maggior parte dei casi. E allora prima lui, poi gli altri. Restava da capire quanti, e quali. È stato Pier Luigi Vercesi, storico libraio antiquario milanese di Porta Venezia, ad aprire l’ultimo atto. «Facciamone una mostra» ha detto a Casetta dopo avere visto una delle sue stampe fotografiche al platino palladio.

E quella mostra è arrivata, anche se debutterà a Monza e non via Tadino. È servita la collaborazione di Dome Bulfaro per programmare un lavoro che è solo all’inizio: anche grazie a lui sono stati identificati quei centocinquanta «nomi di poeti che affermati, storicizzati o solo ancora talenti» possono rappresentare un panorama credibile della lirica contemporanea, mediando «tra chi dice che i poeti italiani sono dodici e chi dice che sono dodicimila». «E se mi chiedono perché lo faccio, rispondo che ho la sensazione di vivere in un’epoca che ha un grande bisogno di poesia».

I poeti ritratti sono Raffaello Baldini, Franco Loi, Maurizio Cucchi,
Nanni Balestrini, Maria Luisa Spaziani, Giovanni Fontana, Cesare
Viviani, Franco Buffoni, Maria Grazia Calandrone, Dina Basso, Umberto Piersanti, Luigi
Socci, Ida Travi, Flavio Ermini, Vanni Bianconi, Arturo Schwarz.

Simone Casetta è nato nel 1961 ed è cresciuto professionalmente e artisticamente affiancando Luciano Ferri e Gianni Greguoli. Ha scelto presto il lavoro indipendente e il carattere dominante della sua produzione, concentrata sui reportage sociali attraverso Europa, Africa, Sudamerica. Quello che fa lo insegna, dal 2007, anche all’Università di Urbino, nel corso di Etica e pratica della fotografia ai corsi dell’Isia. Tra un estremo e l’altro del suo lavoro, le mostre e la ricerca: le prime lo portano a Monza come in Francia, dove fino al 26 febbraio espone alla galleria HorsChamp di Sivry Courtry la serie “Des nues”, insieme a Didier Rochut; la seconda al recupero di tecniche di sviluppo e stampa storiche e alla sperimentazione. Platino palladio, per esempio, «una tecnica dell’Ottocento poi passata in disuso e riscoperta a partire dagli anni Settanta del secolo scorso», che permette di sviluppare fotografie solo della dimensione del negativo e che quindi favorisce l’uso del banco ottico, «che ho utilizzato per esempio con Franco Loi e che probabilmente userò ancora», garantendo un negativo di 50 per 60 centimetri.

«Ma soprattutto il platino palladio permette una gamma di passaggi tonali non possibili con altre tecniche, una profondità speciale, dovuta anche al fatto che esiste un reale processo di penetrazione nella carta». E poi non il platino non ha decadimento. «Se non fosse per la carta – dice – sarebbe eterno. Come la poesia».
Massimiliano Rossin