Gildo, è morto il globe trotter della solidarietà: l’ultimo viaggio in Bolivia a 88 anni

«Non è pensabile starsene senza far niente quando sappiamo che c’è chi ha bisogno di noi» la frase preferita del monzese Ermenegildo Favero. Se ne è andato a 93 anni dopo una vita dedicata a sostenere i missionari francescani tra Africa e Sudamerica, senza riserve. Nel 1950 vinse la Monza-Resegone, poi ne divenne il decano. Corse lì, poi in giro per il mondo. A partire da Soweto, dove incontrò Nelson Mandela.
Ermenegildo (Gildo) Favero in una immagine degli anni Novanta, a Soweto
Ermenegildo (Gildo) Favero in una immagine degli anni Novanta, a Soweto

«Non è pensabile starsene senza far niente quando sappiamo che c’è chi ha bisogno di noi». Se lo ripeteva sempre Ermenegildo (Gildo) Favero. E lo ripeteva a tutti, perché il suo entusiasmo e la sua voglia di fare del bene, di aiutare i più poveri, venivano prima di tutto. Lui che, oltre all’attività in proprio, alla numerosa famiglia (moglie Mariuccia e tre figlie, Manuela, Patrizia e Simonetta), ha fatto della missionarietà la sua stessa vita. Così tanto, da divenire nel tempo il cardine del Gruppo missionario del Santuario di Santa Maria delle Grazie. Così tanto da ricevere proprio dai francescani il diploma di fraternità per il suo impegno in giro per il mondo a sostegno di religiosi e laici e dei loro progetti di sviluppo e aiuto.


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Favero, classe 1927, se ne è andato. Senza disturbare, nel sonno. Perché lui faceva fuoco e fiamme quando c’era da aiutare i più deboli: capace, caparbio, coraggioso. Poi si ritirava in disparte, senza mai la voglia di apparire. Lui che, nel 1950, vinse la Monza-Resegone, forse imparò lì la forza del guardare sempre avanti. Fiducioso, credente. E quel desiderio di missione se lo è cucito addosso sino all’ultimo. A 88 anni suonati volle ancora compiere un viaggio in Bolivia, per avviare un nuovo progetto. Il desiderio più forte degli ultimi anni è stato invece quello di poter lasciare a qualcuno un’eredità fatta di quei viaggi in Africa e Sudamerica, di orfanotrofi e panifici aperti per dare un futuro a chi ha pochi strumenti per costruirselo. In attesa di vedere nuovi volontari, che però purtroppo non sono arrivati, lui non ha mai mollato. Anzi. Provato dall’età, e poi dalla perdita della moglie, ha trascorso le sue giornate più recenti al computer, in contatto con mezzo mondo pur non sapendo una parola d’inglese. La sua energia e la sua voglia di missionarietà sono state più forti di qualsiasi limite di comunicazione e di età.

Origini a Montebelluna, monzese dall’età di due anni, imprenditore con officina meccanica Favero capì che la sua vita avrebbe percorso due strade parallele nel 1986, a Soweto: il lavoro e la famiglia, i frati delle Grazie e la solidarietà. «Andavo lì per lavoro, i clienti prenotavano per me negli alberghi più lussuosi e io mi chiedevo se l’Africa fosse quella» si raccontava. Gli bastò girare l’angolo per vedere baracche, bambini soli per strada. Da quel momento fu impossibile per lui starsene a guardare. Proprio in Sudafrica infatti ebbe inizio il suo primo progetto. Non a suo nome, ma a nome dei frati francescani. Come ogni sua iniziativa, come nella modalità che lo ha sempre contraddistinto. A Soweto è ritornato infinite volte, per assistere l’orfanotrofio Orlando Children’s Home dedicato ai neonati abbandonati. Proprio qui, nel 1990, il monzese incontrò Nelson Mandela. Un momento che è il simbolo del suo impegno per l’Africa e del suo stile di vita. Più di 20 i paesi del continente visitati. Poi ancora il Sudamerica. Un globe trotter della solidarietà. Anche alla Monza-Resegone volle partecipare sino a quando si disse stanco di essere definito “l’anziano del gruppo”.

Gildo Favero è stato salutato proprio nel “suo” Santuario delle Grazie; i frati gli hanno dedicato parole di grande affetto e stima: «Forte e coraggioso, affrontavi le sfide della vita con creatività e passione (…). Testimoniavi Gesù con opere di bene (…) portavi amore per le nostre missioni». E chissà che qualcuno, proprio in memoria di Gildo, non raccolga ora la sua eredità e il sogno degli ultimi anni: continuare il Gruppo missionario delle Grazie.