#Morosininpista: Hamilton fa novanta, ma la Formula 1 non promuove il Mugello

Il giornalista Nestore Morosini commenta l’inedito Gp di Toscana: Hamilton vince e fa novanta, ma la Formula 1 non promuove il Mugello. Perché rischiare?
F1 Gp Toscana al Mugello incidente da camera car
F1 Gp Toscana al Mugello incidente da camera car

Neanche a dirlo, Lewis Hamilton ha vinto anche il GP di Toscana che festeggiava, si fa per dire, i 1000 GP della Ferrari, novantesima vittoria in carriera e sempre sul podio da quando guida la Mecedes. Ha battuto Albon, per la prima volta sul podio, davanti ad altri nove piloti. In dodici sono arrivati al traguardo con le Ferrari in ottava (Leclerc) e decima posizione (Vettel): Raikkonen, nono, senza una punizione di 5” per aver commesso un’azione non grave rientrando al box per una safety car avrebbe superate entrambe le Rosse.

Detta della solita, deludente prestazione della Ferrari che si avvia alla seconda parte della stagione Coronavirus senza mai una nuova soluzione, senza alcun sviluppo sempre uguale, monotona, inutile, dirò senza mezzi termini che tanti incidenti in una gara di formula 1 non li vedevo da tempo. Otto macchine in due incidenti consecutivi, il primo in partenza e il secondo dopo lo stop della corsa e la successiva ripartenza; e un terzo con Stroll sulle protezioni a 282 all’ora e monoposto fracassata, sono davvero troppi.

È vero che al via di una corsa l’adrenalina è a mille, ed è anche vero che su altre piste sono capitati incidenti allo start. Ma in questa sua gara mondiale la formula 1 non ha promosso il Mugello per la sua pista, molto bella nello sviluppo e anche velocissima, ma troppo stretta: una pista che va benissimo per le gare di moto o per i test delle supercar di serie ma non è adatta alle monoposto della massima categoria.
Lo dico ricordando che in incidenti del genere sono morti tre piloti carissimi ai tifosi italiani.Ignazio Giunti, nel 1970, nella 1000 km di Buenos Aires: in scia con la Ferrari al compagno di squadra Mike Parkes i due arrivarono in curva a sinistra dove Jean Pierre Beltoise stava spingendo a mano la sua Matra per arrivare al box. Parkes, per l’ostacolo improvviso si spostò e Giunti sbattè violentemente sulla Matra restando ucciso sul colpo. Nel 1978, per una collisione in partenza a Monza con la McLaren di James Hunt la Lotus di Ronnie Peterson carmbolò sul guard rail: il pilota svedese riportò sette fratture a una gamba e morì all’ospedale milanese di Niguarda.
Nel 1982, alla partenza del GP del Canada a Montreal, la Ferrari di Pironi restò piantata in prima fila col motore spento: Riccardo Paletti, partito in fondo allo schieramento, ci finì contro violentemente con la sua Osella: morì a 24 anni.

Ora, gli americani vanno alle corse per vedere gli incidenti, se non ci sono tornano a casa delusi. Noi europei, credo, siamo diversi. Io almeno lo sono. Guardiamo le corse per emozionarci con i sorpassi, con i virtuosismi in curva, nel giudicare le traiettorie o la potenza delle monoposto. In altre parole, noi europei siamo buongustai. I tre incidenti del Mugello sono finiti, per fortuna senza alcuna conseguenza per i piloti. E questo grazie alle continue iniezioni di tecnologia che in trent’anni hanno cambiato profondamente le monoposto. Ma perché, allora, rischiare?