Mercoledì 8 novembre sono 75 anni dalla nascita di una delle più luminose stelle del calcio italiano, Sandro Mazzola. Delle sue 75 candeline, due terzi sono state spente nella sua vita monzese.
Non è così, si sbaglia. Gli anni sono solo 55. (ride). A Monza ci sono da 50 anni, più o meno. Prima abitavo in centro, nel palazzo Upim. Poi, con i figli, abbiamo cercato un po’ più fuori…
Un monzese a tutti gli effetti allora
Sì, ma ormai da tempo. Anche se il mio dialetto è quello milanese.
Monza e la Brianza l’hanno adottata e negli ultimi anni lei ci ha messo la faccia, e i baffi, in tantissimi eventi
Verissimo. E anche con i miei nipoti la mia vita è qui.
C’è qualche nipote che ha preso la sua strada di atleta?
Ne ho 7, molti che frequentano le scuole in città. L’ultimo è quello che secondo me avrà un futuro nel calcio, anche se ancora non è iscritto ad alcuna società. Tira bene, dribbla, ha un bel tocco.
Come si chiama?
Valentino…come mio papà.
Se Valentino le chiedesse di accompagnarlo in una società calcistica del territorio, quale sarebbe il suo consiglio?
L’importante è fare sport, qualunque esso sia. E occorre avere i maestri giusti, che ti aiutano a crescere e a capire come comportarsi. Bisogna insegnare la correttezza e il rispetto dell’avversario. Concetti che diverranno utili anche a coloro che smetteranno con la pratica sportiva.
Lei, insomma, punterebbe su una società di oratorio o una professionistica, come il Monza?
Io credo che da piccoli, i bambini debbano stare in oratorio. Poi, più avanti , si può cambiare. Quando mio papà morì, con mia mamma venimmo a Milano, vicino a San Lorenzo. Il prete, don Giordano, lo ribattezzammo Din-don-dano: quando saltavamo la messa delle 7.30, non ci dava le chiavi del campetto da calcio. Campetto, tra l’altro, in cemento. Ricavato tra le rotaie del tram e la parete della basilica, con travi in legno e reti per delimitare tutto. Niente messa, niente partita a pallone. Così, fuori dalla funzione delle 11.30, quella delle famiglie, ci mettevano sul sagrato a cantare “Din-don-dano mangia la carne di venerdì”, non rispettando precetti allora molto più seguiti di oggi. Allora lui, esasperato, finiva per mandare la perpetua a consegnarci le chiavi. E la partita ricominciava.
Cinque anni fa lei è stato candidato alla presidenza del Crl, il Comitato regionale lombardo della Figc, contro Felice Belloli. Come sta il calcio monzese?
Non saprei, nel dettaglio. Ma penso ci si debba dedicare di più ai giovani, far sentire loro l’importanza di praticare uno sport.
La politica fa abbastanza? Monza secondo lei potrebbe avere di più?
Sto lontano dalla politica. Ma, sì, credo che Monza possa avere di più.
Nel calcio di vertice, lei in passato ha contestato la tesi per cui Monza soffre troppo la vicinanza di Milano. E lo ha fatto citando i casi di Londra, dove convivono molte realtà, o più semplicemente Sesto San Giovanni, con la Pro. Almeno prima del fallimento.
La vicinanza di Milano credo possa essere un vantaggio. Ma chiaramente servono tempo e investimenti.
Lo sa che il Calcio Monza degli ultimi anni ha strizzato più l’occhio al Milan, che all’Inter? Si vociferò di un interessamento all’acquisizione da parte di Adriano Galliani, dopo la gestione di Clarence Seedorf. E ora la rinascita ha il volto di Nicola Colombo, a sua volta intrecciato alla storia rossonera…
Che brutta cosa…(ride). L’Inter si trova a vivere un momento particolare, come dirigenza. E non ha capito l’importanza di avere un serbatoio di giovani come quello del Monza, che è riferimento di buona parte della Brianza.
Ma quindi sta dicendo che la dimensione giusta del Monza non può essere altro che quella di serbatoio per una grande squadra professionistica?
No, dico che con gli investimenti industriali giusti la possibilità di far bene ci sarebbe anche qui.
Quando arrivò Seedorf, lei si disse fiducioso che potesse far bene. Ricordò l’intelligenza del personaggio e l’impegno per Harvey Esajas, che dopo aver superato problemi personali, debutto anche col Torino. Costruendosi nuove chance per il futuro. A Monza, invece, Seedorf è stato accusato anche di aver portato i famigliare a giocare, come il cugino Stefàno e il fratello Chedric…
Non so cosa abbia sbagliato, bisognerebbe essergli stato più vicino per capire. Dispiace. Conoscendolo, pensavo avesse potuto fare di meglio. Poi, certo, noi siamo sempre bravi a spettegolare…
Nessun pettegolezzo, ma addirittura quasi nessuna parola, sul suo impegno per l’Asd Ciechi Brianza, l’associazione che l’ha vista qualche stagione fa in palestra alla Forti e Liberi, per le gare di che praticano il torball…
Qualcosa nato per caso: alcuni di quei ragazzi mi chiesero delle informazioni, per strada, e mi interessai a loro. Mi affezionai subito, ma ora è un po’ che non vado alle iniziative.
Monza come città, però, la frequenta ancora?
Sì, ma meno. Il mio posto del cuore è piazza Trento e Trieste, perché mi piaceva andare in giro, entrare nelle vie accanto per vedere i negozi.
Qualcuno la incontra con qualche nipote al cinema Capitol. Quali sono le zone che frequenta di più?
Una volta mi piaceva andare al bar, con i tavolini, sotto l’Arengario (il Moderno, ndr). Mi fermavo spesso, quasi sempre a parlare di calcio.
Lo sa che gli ultimi due sindaci, Roberto Scanagatti e Dario Allevi, sono uno milanista e l’altro juventino?
Di quelle squadre non parlo…(ride)
Il monzese medio, è più bauscia o casciavitt? (I tradizionali epiteti per i tifosi interisti e milanisti, ndr)
Bauscia direi di no. Sarà una mia sensazione, ma pur essendo una città ricca, Monza mi sembra più da casciavitt. Molti pensano a guadagnare e da lì non si distraggono.
Il mondo del calcio è cambiato, ma è cambiato anche il modo di raccontarlo. Qual’è la differenza più evidente rispetto ai suoi tempi?
Una volta c’era il gusto di fermarsi un attimo di più a descrivere, oggi si ha la tendenza ad essere veloci e stringati. Credo che qualcosa si sia perso
C’è un aneddoto che la lega in particolar modo al compianto Gino Bacci?
Ne abbiamo fatte di tutti i colori. Spesso dovevo nascondergli le cose, perché non volevo che le scrivesse. Lui ne veniva comunque a conoscenza e il giorno prima mi chiamava dicendomi: «Sandro, mi raccomando, domani compra il giornale…».
Altro mondo e altro calcio. Che lei ha contribuito a cambiare, fondando il sindacato dei calciatori
Ci trovavamo come carbonari in un ristorante poco fuori la stazione centrale di Milano, io Rivera, Bulgarelli e De Sisti. Andavamo fuori orario. Poi quando ci vedevano uscire insieme, dall’altra parte della strada mi gridavano: «Mazola, ‘ste fé sul marciapé insema a un milanista?». All’epoca non ci capivano, ma a 14 anni eri costretto a firmare un cartellino a vita con le società. Oggi menomale che non è più così.
Oggi, però, si dice spesso che non esistano più le bandiere e i valori che rappresentano. Quelle che lei vorrebbe che un ragazzino conoscesse.
In effetti oggi siamo all’estremo opposto. La misura di mezzo sarebbe quella giusta.
Anche a Monza, di fronte a un grande evento come può essere il Gp, ci sono gli entusiasti e quelli che si lamentano del traffico. Lei da che parte sta?
Tutte le grandi cose richiedono dei sacrifici, altrimenti non sono gradi. E io sono dalla parte di chi dice che è impensabile dissociare il binomio Monza-Gran premio.
Eppure lei abita a ridosso del Parco. E anche quando in primavera venne Papa Francesco la città si bloccò.
È stato incredibile. C’era un’aria diversa, sembrava si fosse fermato tutto. Anche io ho tentato di scendere di casa, poi quando hanno cominciato a riconoscermi, ho preferito tornarmene su…
Dopo tanti anni, è più la scocciatura di non poter girare per strada senza essere fermato o la soddisfazione di aver lasciato un segno?
Assolutamente la soddisfazione.
In questi 40 anni, come è cambiata Monza?
Prima in effetti si poteva andare in giro e camminare, oggi si fa tutto di corsa. Ma è un discorso che vale per tutta la società, non solo per Monza.
E cosa le ha dato questa città?
A Monza sono grato perché ho sempre trovato rispetto e considerazione, uno stile che non ha mai voluto travalicare le istituzioni. Ecco, a Monza ho avuto modo di vivere come avrei voluto.
I suoi 75 anni li festeggerà a Monza?
Io preferirei proprio non festeggiarli, ma temo che i figli qualcosa organizzino. Per me il massimo sarebbe vedere i miei nipoti venirmi a chiamare con un pallone sotto il braccio, per chiedermi di scendere a tirare qualche calcio con loro.