«Per noi che siamo gente di pianura, il solo pensiero di vivere a 4mila metri fa girare la testa». Eppure si può. Se a dare forza è il desiderio di aiutare gli altri, respirare bene a quell’altezza si può. Anzi, proprio lì si può trovare, paradossalmente, quella boccata d’ossigeno che manca altrove. Giovanna Menni, monzese, classe 1970, ci è riuscita. E la constatazione iniziale è proprio sua. Lei racchiude così, in quelle poche parole, tutto il cammino percorso dalla Brianza alla Bolivia. Prima a piccoli passi, poi a ritmo spedito. Tanto che, dalle prime esperienze di volontariato e condivisione, (in Tanzania, coi missionari della Consolata, poi ad Arque e Tujsuma, in Bolivia, con il mandato della diocesi di Bergamo, ndr), oggi quelle altitudini sono diventate la sua vocazione, a Kami, nel dipartimento di Cochabamba, dove la monzese opera da un anno e mezzo con il mandato della Diocesi di Milano, in collaborazione con i padri Salesiani.
Qui, per permettere ai figli dei campesinos di proseguire gli studi, è stato realizzato un convitto. Impossibile infatti per tanti ragazzi affrontare giornalmente lunghi trasferimenti, a piedi e su camion, per raggiungere dalle comunità il capoluogo, dove sono presenti la scuola media e quella superiore. Così i più meritevoli, grazie a borse di studio, possono continuare a studiare per avere un diploma o una specializzazione professionale, ospiti della missione che fornisce vitto e alloggio.
Attualmente in convitto ci sono 43 ragazzi, dai 12 ai 21 anni. Ma si potrebbe fare molto di più. E qui Menni chiama in causa tutta la sua “gente di pianura”, da Monza e al resto della Brianza. Il numero dei ragazzi di Kami è determinato dalla limitatezza del budget (costituito esclusivamente dalle offerte che arrivano dall’Italia, ndr) e questo a fronte di ben oltre 100 richieste d’iscrizione pervenute. I giovani ospiti possono frequentare corsi professionali di falegnameria, meccanica, saldatura, elettricità, informatica, ceramica, panetteria e agricoltura. Le attività sono coordinate da tre padri salesiani (padre Serafino Chiesa, Padre Michelangelo Aimer e padre Tomas Mamani).
«I progetti richiedono un’adeguata disponibilità di mezzi – sottolinea Menni – ma soprattutto energie vive di volontari disposti ad aiutare la speranza».
E tutti possono essere volontari in tale senso. Anche da qui. La gestione economica è totalmente a carico della parrocchia di Kami e fin dall’inizio la missione é stata sostenuta da volontari e associazioni a distanza. Ora c’è bisogno di tutti. Come dare una mano allora? Sostenendo a distanza il soggiorno degli studenti nel convitto. Le famiglie, troppo povere, non potrebbero mai permetterselo. E il futuro per quei ragazzi resterebbe senza questa boccata d’ossigeno. C’è poco tempo per essere utili: a febbraio inizieranno le scuole.
Per informazioni sul progetto http://www.missionekami.it/adozioni.html e missionebolivia.blogspot.com.
Giovanna Menni sino al 2007 respirava, l’aria di pianura: un lavoro nel controllo di gestione del gruppo Multinazionale Sol a Monza, (prima il diploma di ragioniera al “Mapelli”, ndr), gli impegni nella parrocchia di Cristo Re e con i Padri Barnabiti.
In ogni luogo, dalla scuola al lavoro, l’attenzione agli altri non le è mai mancata. Oggi però, nella missione Salesiana di San Josè Obrero di Kami, quell’attenzione è qualcosa di più. È la sua vita. Missionaria laica, felice della sua scelta, non nasconde affatto le difficoltà di ogni giorno, lo sconforto di un luogo precario, scomodo, faticoso, spesso inospitale.
«A Kami – racconta la monzese – mi occupo del taller di ceramica e della panetteria. Abbiamo pensato alla lavorazione dell’argilla al tornio in quanto i ragazzi hanno buona manualità e creatività e questa potrebbe essere l’occasione per valorizzare le loro capacità nelle piccole cose realizzate manualmente con impegno, fatica, pazienza e gusto».
La gestione della panetteria permette invece di sfornare due volte a settimana 600 pezzi di pane per le necessità del convitto e della comunità. «Importante per me, oltre a condividere l’esperienza con i ragazzi del collegio, è anche andare incontro alle persone, fermarmi, stare con loro, imparare a conoscere, incontrare i bambini, le donne, i minatori, i campesinos». «Ogni incontro è diverso – continua Menni – e mi cambia, mi apre nuove prospettive. Non mancano le difficoltà. Ma la cosa bella è che non viene mai meno la forza di guardare alle cose con occhi nuovi e la curiosità dell’andare incontro al diverso».
La Missione salesiana di Kami, nata nel 1977, copre un’area di 910 km quadrati nel dipartimento di Cochabamba, costituita da un labirinto di montagne dai 3mila ai 4600 metri dove la speranza di vita è sotto i 40 anni. Sulle pendici di un monte (a 4mila metri di quota) vivono circa 20mila persone nella quasi totalità appartenenti alle etnie Quechua (gli antichi Incas) e Aymara (pre-incaici). Qui una miniera (di tungsteno) ha rappresentato per decenni l’unica fonte alternativa alla condizione dei campesinos, ma il calo del prezzo del materiale sul mercato, l’impoverimento della potenzialità estrattiva e le spaventose condizioni di lavoro hanno costretto molti ad abbandonare tale fonte di reddito. E la crisi economica, dura ovunque, ora pare durissima laddove la povertà è da sempre compagna di vita. Da qui si può dare una mano. E un futuro.