Un blues a coloriper Magrin e Oleari

Doppio appuntamento mercoledì 13 giugno alla Leo galleries di Monza, in via De Gradi, con la vernice-presentazione che vedrà protagonisti Nicola Magrin e Antonio Oleari: in mostra la nuova serie di lavori dell'artista monzese intitolata ''Wolves'' e per l'occasione debutto anche per la raccolta di poesie ''Guerre bianche'' dell'autore medese. Alle 18.
Un blues a coloriper Magrin e Oleari

Monza – Funziona così: bisogna prendere l’arco ed estrarre una freccia dalla faretra. Un pugno che tende e in mezzo un’asola di dita per perché la lancia passi in un respiro, quello trattenuto il tempo necessario di annullare tutto, anche il rumore di sé. L’altra mano tesa – le dita a uncino – fino alla flessione dei legni. Ecco: il segreto è in quell’istante. Con le braccia spalancate quanto occorre, la misura giusta perché la parabola della freccia che strappa nell’aria – sentito al naso il vento, visto all’orizzonte il bersaglio – sia proporzione.

A quel punto la testa di metallo e il cuore di legno seguono una curva precisa, che non ha più niente di giusto o sbagliato: è lei, punto e basta. È la sua traiettoria. Per leggere Antonio Oleari bisogna fare la stessa cosa: occorre tirare la corda solo quanto serve per poi sapere che quello spazio nel vuoto tra la storia della poesia e il suo arrivo sono soltanto il calibro giusto delle braccia. Non un centimetro di più, non un respiro trattenuto in meno.

Ne servono pochi per tracciare il retaggio formale di Oleari, medese nato nel 1985 che manda alle stampe le sue “Guerre bianche” e denuncia, dal primo verso, la tensione della sua corda. «“Chiedigli di chiudere”/ È così che tutto rimarrà aperto». Non ha la tradizione nelle dita, né il retaggio dell’alba del Novecento, né il nascondino del simbolismo o il neorealismo nelle sue declinazioni. I gradi della poetica di Oleari sono quelli della seconda metà del secolo scorso, la frantumazione del verso, la tensione verso l’istante e la narrazione che diventa prosa lirica più che lirica tout court.

«Dimenticai di me, una notte./ Abbassai la guardia,/ e il mattino mi ritrovai felice./ Volevano che aprissi gli occhi./ “Come si sente?” chiesero./ “Leggermente…” dissi, ma non mi fecero finire./ “Non si agiti! Se presa in tempo,/ dalla felicità si può guarire.» (Positività). C’è Zanzotto degli Sguardi – un palinsesto denunciato apertamente – come quello di «Resterò dunque a guardare un pezzo di ramo/ su uno specchio ghiacciato/ io accosciato accanto a una pozza ghiacciata/ ero qui e non attendevo/ non ho mai atteso nulla, veramente». Un po’ di Franco Loi per un sentimento metropolitano della letteratura da profugo di Liguria, e poi Sanguineti e Balestrini, Bertolucci e Pagliariani.

Verrebbe da ratificare come suo incipit l’esperienza dei Novissimi, con la rinuncia della neoavanguardia alle categorie dettate fino agli anni Sessanta, se non fosse che la partitura sembra in fondo un’altra. Niente linea lombarda, semmai un debito d’onore con la dinamica poetica dell’epopea beat (da Howl di Ginsberg in giù, senza fiato generazionale) per poi spartire il terreno con chi, della rivoluzione di Frisco, ha fatto pentagramma. Più Dylan (Bob) che Vittorio Sereni. Un blues bianco, come quello delle guerre nel titolo della raccolta. Di chi dice: «Mi servono le tue unghie./ Il richiamo della precisione./ Desidero tu sappia/ latitudine e longitudine/ di ogni tavolo/ al quale ho parlato di te/ pronunciandoti» scrive nel “Grande argomento”. Un istante in quatttro quarti per chitarra slide. Un istante, una manciata di minuti è durato anche l’incontro di Nicola Magrin con un branco di lupi. E poco altro è servito a lui e ad Antonio Oleari per trovare un terreno d’intesa (Magrin ha realizzato la copertina di “Guerre bianche”, pubblicato da Liberodiscrivere, che conta anche sull’introduzione di Giulio Casale, presente mercoledì a Monza).

Un braccio teso e uno immobile, l’arco e una freccia tra i due: poi il lancio, con la coscienza del gesto e l’incoscienza di dove porterà definitivamente, come nell’acquarello, che non ammette errori. Perché un punto di incontro c’è, tra Oleari e Magrin, ed è qui. Per Magrin l’istante è stato il mese di aprile di quest’anno, il luogo le rive di un lago ghiacciato a Day Lake, sperduta località sommersa dalla neve nella zona del British Columbia, in Canada. Qui ha vissuto per un mese l’artista monzese con la vocazione per l’acquarello e l’amore per la natura, ospite degli amici Gianni e Magì Bianchi. «La giornata era scandita dal ritmo lento della natura – racconta Magrin -. Ci alzavamo presto, si faceva colazione prima di andare a pescare sul lago gelato».

Tre o quattro ore, ogni giorno, immerso nel silenzio e nella natura. Ed ecco allora che la Natura ha saputo ricompensare. «Una mattina abbiamo preso le motoslitte come ogni giorno per raggiungere il lago – ricorda Magrin -. All’improvviso e in un modo del tutto inaspettato, abbiamo trovato un branco di lupi, fermo nel centro del lago. Non riuscivo a credere che fossero tanto vicini, che avessero deciso di non scappare». L’incanto silenzioso dura un attimo. Poi la corsa in mezzo a loro, la fuga dei lupi, la loro presenza avvertita vicino. È stata la memoria a registrare ogni singolo istante di quell’incontro inaspettato.

Quell’istante ha regalato al monzese una nuova raccolta di acquarelli: “Wolves”, appunto, dedicati a quell’istante ma dilatati nel tempo, la prima personale allestita da Magrin negli spazi monzesi della Leo galleries dopo la mostra del 2011 proposta a Lugano. Dal 13 giugno al 7 luglio (vernice mercoledì alle 18.30, quando saranno presentati anche la raccolta di Oleari a pochi giorni dal debutto ufficiale al Festival della poesia di Genova, sabato 9, e il work in progress della copertina) la galleria di via De Gradi ospiterà le suggestioni stilizzate di quell’incontro. Ne sono nate quaranta tavole, appunti leggeri di un’emozione. Di queste quindici saranno esposte alla Leo galleries.
Massimiliano Rossin
Sarah Valtolina