Buon giorno. In ragione dell’età e delle condizioni di salute di mia mamma, io e i miei fratelli abbiamo deciso di affidarci all’aiuto di una badante. Dopo alcuni tentativi non andati a buon fine, abbiamo incontrato una signora che ci è sembrata capace e, sulla scorta anche delle referenze che portava con se, l’abbiamo assunta.
Per qualche anno tutto è andato benissimo. La signora viveva in casa con mia mamma, svolgendo la professione di badante a tempo pieno.
Qualche mese fa, a seguito di un controllo casuale del conto corrente di mia mamma, mio fratello ha constatato che vi fosse dei ripetuti prelievi allo sportello bancomat del tutto anomali. Il bancomat di mia mamma ed il relativo pin erano mantenuti da noi familiari in un cassetto in camera di mia mamma; non siamo in grado di dire con sicurezza che sia stata la badante, però in casa nostra non entra nessun altro diverso da noi fratelli.
Non so che cosa fare anche perchè siamo legati da un rapporto di confidenza e familiarità con la signora badante. Cosa mi suggerisce? Attendo una sua cortese risposta.
Buon giorno. Dalla lettura della sua lettera devo dedurre che Lei si sia premunita di avere copia degli estratti del conto corrente intestato a sua mamma e che possa escludere che sua madre o altri familiari abbiano fatto i prelievi di cui mi dice.
Mi sembra evidente che Sua madre debba procedere con una denuncia querela, allo stato nei confronti di ignoti. Non essendo in grado di attribuire con certezza una eventuale responsabilità in capo alla badante, ritengo sia preferibile descrivere l’accaduto, lasciando che sia il PM a cui verrà assegnato il fascicolo svolgere le indagini del caso e se mai indentificare l’eventuale responsabile dei fatti che descrive.
È altresì evidente che ci siano dei profili di responsabilità penale ascrivibili a chi ha posto in essere le operazioni di prelievo utilizzando lo strumento bancomat, senza esserne legittimato.
Per quel che mi dice, i prelievi sono avvenuti poco tempo fa.
Lo evidenzio perchè, se si fosse trattato di fatti avvenuti prima del 1.3.2018, il fatto commesso sarebbe stato riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 624 C.P. (furto) o 646 C.P. (appropriazione indebita) eventualmente aggravati dagli artt. 61 n° 5 C.P. per aver approfittato delle condizioni di minorata difesa della sua mamma, 61 n° 7 (C.P.) se la somma degli ammanchi determinati dagli indebiti prelievi sia tale da aver provocato un danno patrimoniale di rilevante gravità o 61 n° 11 C.P. per aver commesso il fatto con abuso di relazioni domestiche e prestazione d’opera, se si trattasse per esempio della badante.
Per quanto riguarda il furto va detto che, con la presenza solo delle aggravanti di cui all’art. 61 C.P. n° 5 e 11, si tratta di delitto procedibile a querela. Se invece fosse presente l’aggravante di cui al n° 7 il fatto sarebbe procedibile d’ufficio.
Per quel che riguarda l’appropriazione indebita, fino al 10 aprile del 2018 con la presenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n° 11 C.P. si procedeva d’ufficio, da quella data si procede sempre e comunque a querela.
Come forse saprà, i reati sono perseguibili a querela o d’ufficio, a seconda della gravità del reato. Alcuni fatti possono iniziare a seguito di proposizione di querela, che poi, a seguito di accordi transattivi, può essere rimessa ed il procedimento penale si chiude per intervenuta remissione. Altri fatti, che pure nascono a querela, per la presenza di qualche fatto qualificante (circostanza aggravante) o perchè comunque procedibili di ufficio, impongono il permanere del procedimento penale a prescindere dalla volontà eventuale del querelante di rimettere la querela: intendo dire che si deve andare avanti comunque.
Ne segue che, per quel che attiene alla ipotesi di furto, per questa fattispecie è necessaria una querela nei tre mesi dalla conoscenza del fatto reato, se fossero presenti solo le circostanze aggravanti di cui ai numeri 5 e 11, mentre d’ufficio per l’aggravante di cui all’art. 61 n° 7.
Per l’appropriazione indebita, se i fatti descritti sono stati commessi prima del 10 aprile 2018, deve essere stata proposta denuncia querela nei tre mesi dalla conoscenza del fatto reato e, se sussiste come pare l’aggravante di cui all’art. 61 n° 11, si procede comunque. Se invece i fatti sono stati commessi dopo quella data, si procede comunque a querela, che però è rimettibile anche con la presenza dell’aggravante sopra descritta.
Tuttavia, a parte i reati ora menzionati, giova segnalare che, sempre nel 2018, il Legislatore ha introdotto il delitto di cui all’art. 493 ter C.P. che sanziona la condotta di chiunque faccia indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento.
Chi commette detto reato sanziona chiunque al fine di trarne profitto per sé o per altri indebitamente utilizzi non essendone titolare carte di credito on di pagamento ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 310 euro a 1550 euro. Il reato è procedibile d’ufficio, sicché, se anche il procedimento nasce su iniziativa della persona offesa, con querela, l’eventuale remissione della stessa è irrilevante ai fini della procedibilità: si procede comunque.
Va peraltro segnalato che, anche prima di quella data la condotta ora descritta era sanzionata, dall’art. 55 comma 9 D.L.vo 231/2007 con identico trattamento sanzionatorio.
Nel caso che ci occupa, qualcuno è entrato in possesso della carta bancomat di sua mamma e del relativo pin. Anche nel caso in cui, per qualche motivo, la badante, se fosse responsabile dei prelievi, fosse stata autorizzata da sua madre o da voi ad utilizzare il bancomat, magari per fare la spesa (ma dalla lettera non lo si deduce), appare chiaro che la stessa fosse in possesso della carta e del relativo pin perchè gli erano stati consegnati dalla mamma o da voi, sicché si deve ritenere che sussistesse in capo alla stessa, in sostanza, la titolarità del possesso della carta (cfr. Cass. Pen. sezione II, 7910 del 20.1.2017).
Appare insomma evidente che una eventuale esenzione di responsabilità discenda dal fatto qualcuno sia stato autorizzato dal titolare alla operazione di prelievo di cui si discute, sulla base dell’accordo pregresso tra i due. Tuttavia, ciò può valere all’interno di uno specifico mandato. Nel caso che Lei descrive è chiaro che i prelievi non siano stati autorizzati per eventuali spese o acquisti al supermercato, per esempio. E’ proprio la mancanza di titolarità che segnerebbe il perimetro dell’utilizzo indebito; non ricorrerebbero quindi gli estremi dell’uso indebito penalmente rilevante ove il soggetto legittimato, nel nostro caso in ipotesi sua mamma, si servisse del terzo (in ipotesi la badante) come longa manus o mero strumento esecutivo di un’operazione non comportante la sottoscrizione di alcun atto (cfr. Cass. Pen. Sez. V, 28.11.1997 n° 1456 in Riv. Pen. 1998, 245; più recentemente, sulla stessa linea, Cass. Pen. Sez. II, 17453/19 del 22.2.2019 e Cass. Pen. Sez. II, 16.2.2021, n° 18609/21.)
Il presupposto della norma è, quindi che la carta di credito o il documento con cui si è autorizzati a prelevare denaro sia provento di delitto ( per furto, ricettazione, riciclaggio, appropriazione indebita o per clonazione).
Sulla base di quel che mi dice nella sua lettera, mi sembra quindi ipotizzabile che il soggetto che ha posto in essere i prelievi possa rispondere di furto o di appropriazione indebita, diversamente aggravati, con le conseguenze in punto di procedibilità che sopra ho provato ad illustrare e quindi in punto di presentazione tempestiva della querela; e, poi, soprattutto, della violazione dell’art. 493 ter C.P. (o, se si parla di fatti commessi prima dell’entrata in vigore di tale norma, per la violazione dell’art. 55 comma 9 D.L.vo 231/2007).
Suggerisco in ogni caso che sua madre proceda con denuncia querela, come detto contro ignoti, per tutela di sua madre stessa, per le diverse ipotesi che le ho indicato.
Avv. Marco Martini *
*
Studio legale Martini e Zecchetti. Iscritto all’ordine degli avvocati di Monza dal 1997. Nato a Vicenza e dal 1984 vive a Monza, ha frequentato il liceo classico Zucchi e si è poi laureato presso l’Università statale di Milano. Socio fondatore della Camera penale di Monza, ha conseguito diploma della Scuola di Alta specializzazione della UCPI; iscritto alle liste del patrocinio a spese dello Stato, delle difese d’ufficio, si occupa in via esclusiva di diritto penale carcerario e societario.