Un intervento chirurgico desta sempre timori e dubbi, spesso limitati alla durata dell’operazione. Dopo l’intervento, le paure si dissolvono, fagocitate dalla determinazione che caratterizza la fase di recupero. Non così lineare appare invece il percorso che porta a un intervento di chirurgia maxillo-facciale.
Sfumato è il confine tra il prima e il dopo, quasi si trattasse di un passaggio d’identità. Un bambino può convivere anni con la propria malformazione prima che sia possibile un intervento, deve poi seguire un assiduo e rigoroso follow up per riscoprirsi diverso nell’aspetto, privo del deficit estetico, uguale ai suoi coetanei. Antonino Cassisi, responsabile della Chirurgia cranio-maxillo-facciale degli Ospedali Riuniti di Bergamo, ha portato la chirurgia pediatrica a livelli di eccellenza.
Gli interventi sulle malformazioni congenite del cranio e della faccia, tra cui labiopalatoschisi, craniostenosi, ostruzioni respiratorie, angiomi, la chirurgia ortognatica, la ricostruzione del viso post traumatica e post oncologica vengono eseguiti utilizzando le tecniche più innovative, secondo le linee guida internazionali. Un continuo aggiornamento è reso possibile grazie alla collaborazione con diversi centri ospedalieri e universitari negli Stati Uniti, in Germania e in Francia, all’avanguardia sia per le tecniche chirurgiche utilizzate che per la scelta dei materiali per gli innesti.
«L’incontro con Francoise Firmin a Parigi, si è rivelato prezioso sia per i pazienti pediatrici che adulti. Ha infatti permesso di introdurre, anche a Bergamo, molte novità nell’ambito della ricostruzione del padiglione auricolare, effettuata in seguito a malformazioni congenite e acquisite – spiega Cassisi -. Ora è possibile eseguire questo tipo di intervento in due sole fasi. Una prima fase viene effettuata sagomando un blocco cartilagineo costale, prelevato dall’emitorace del paziente e inserito nella regione temporale per sostituire il padiglione mancante. Dopo alcuni mesi viene realizzato un secondo intervento per definire le giuste proporzioni del nuovo padiglione auricolare rispetto ai distretti facciali. I pazienti vengono quindi seguiti dagli otorinolaringoiatri per la valutazione del profilo audiologico».
Il buon esito di un’operazione maxillo-facciale non può prescindere da un accurato lavoro ortodontico, che permetta di ottenere un miglioramento funzionale negli anni successivi all’intervento. «È indispensabile una stretta collaborazione tra ortodontista e chirurgo maxillo-facciale – sottolinea Cassisi -. In realtà è auspicabile creare e mantenere uno scambio di informazioni con tutti gli specialisti che operano nel territorio, così da garantire una sinergia capace di assicurare ai pazienti il trattamento più appropriato». Passa anche dalla formazione di un team multidisciplinare il percorso per portare la chirurgia maxillo-facciale degli adulti, di cui Cassisi è Responsabile da qualche mese, ai livelli di eccellenza della chirurgia pediatrica.
«Le novità non mancano – anticipa Cassisi -, le innovazioni riguardano soprattutto gli esiti da traumi. I nuovi materiali di osteosintesi riassorbibili consentono infatti la ricostruzione del viso risparmiando ai pazienti interventi ripetuti, necessari per rimuovere placche e viti metalliche utilizzate per stabilizzare i capi ossei».
Il viso è coinvolto nella maggior parte dei casi di traumi al distretto cefalico. Il chirurgo maxillo-facciale si trova a trattare sia l’emergenza, controllando le emorragie e la pervietà delle vie aeree, sia le fratture, ripristinando la corretta posizione spaziale del moncone fratturato e la sua stabilizzazione. Negli ultimi anni, i materiali utilizzati per restituire al paziente la fisionomia preesistente e una buona funzionalità sono polimeri bioassorbibili, costituiti da macromolecole che vengono progressivamente idrolizzate in frammenti di piccole dimensioni, a loro volta trasformati in acqua, fino al completo riassorbimento.
«Questi nuovi materiali rappresentano un’ottima alternativa alla fissazione metallica, garantiscono infatti una buona fissazione delle fratture e stabilizzazione delle osteotomie sia a medio che a lungo termine, senza rigidità e senza ostacolare lo sviluppo scheletrico, soprattutto nei bambini. Sono inoltre dotati di una buona tollerabilità biologica, che assicura l’assenza di reazioni infiammatorie e processi degenerativi nei tessuti con i quali vengono a contatto».
Marina Ferrario