Mafia, ‘Ndrangheta, BrianzaA che punto è la notte

Prende fuoco il tetto di una casaDue carabinieri danno l’allarme

«In Brianza, il denaro proveniente dalle attività illecite delle organizzazioni criminali viene reinvestito nelle attività economiche. Il fenomeno delle infiltrazioni mafiose nel vostro territorio esiste». Queste le parole dell’ex prefetto di Milano Achille Serra al convegno “La mafia sotto casa – Perchè certe cose (soprattutto queste) è meglio averle ben presente”, organizzato dal circolo del Partito Democratico di Giussano a novembre.

Accanto a Serra, un altro uomo dello Stato per eccellenza, Luigi De Sena, una lunga carriera in Polizia come il collega, nominato perfetto di Reggio Calabria in un momento molto delicato come l’uccisione del vicepresidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno. Entrambi sono ora senatori del Pd. «La guerra contro la mafia, contro tutte le mafie, è sempre stata sempre troppo parziale. E io non credo che si possa vincere inviando forze dell’ordine e magistrati ad hoc nei momenti di emergenza, penso a quello che accadde in Sicilia dopo gli omicidi Falcone e Borsellino – aveva detto Serra -. Così si può vincere solo qualche battaglia. La guerra alla mafia si vince con il lavoro e la cultura. Nel Mezzogiorno c’è una percentuale di disoccupazione che supera il 60% e la diserzione scolastica tocca punte del 55%. Se non lavoro e non vado a scuola, diventa un gioco, per le organizzazioni mafiose, farmi diventare uno di loro».

De Sena aveva invece posto l’attenzione sul rapporto tra politica, e quindi pubblica amministrazione, e cittadino. «L’attività dei magistrati e delle forze di polizia è straordinaria, ma il cittadino avverte insicurezza – aveva detto l’ex vicecapo della Polizia di Stato -. La mia esperienza mi porta a dire che il contrasto alla criminalità non è sufficiente. Il lavoro delle forze di polizia e dei giudici non deve assumere un ruolo esclusivo ma concorrenziale con quello della politica e della pubblica amministrazione, la cui credibilità è ora ai minimi storici. Bisogna incominciare a parlare, ma sul serio, di prevenzione generale, il che significa, anche per la Brianza, creare un “cordone sanitario” contro le infiltrazioni mafiose attraverso la sinergia di forze dell’ordine, magistratura e politica. E ci deve essere la certezza della pena».

Ma di infiltrazioni mafiose calabresi in Brianza ha parlato di recente anche un altro protagonista della lotta alla ‘Ndrangheta, quel monsignor Giancarlo Maria Bregantini che per 14 anni è stato vescovo di Locri-Gerace. Ospite del decanato di Carate a Besana, sempre lo scorso novembre, Bregantini, in un’intervista esclusiva a “il Cittadino”, aveva spiegato che ciò che ha permesso l’infiltrazione della ‘Ndrangheta in Brianza è la latitanza dello Stato. «La ‘Ndrangheta non è stata combattuta laddove la si doveva combattere, ossia in Calabria, ed è proliferata. Inoltre, da voi c’è il guadagno vero. I mafiosi investono poco sul loro territorio, i grossi investimenti sono qui.

Terzo aspetto da non sottovalutare: le organizzazioni criminali mafiose mantengono stretti legami con la loro terra d’origine. È alla Calabria che la ‘Ndrangheta restituisce quello che ha investito al Nord. Dunque, in termini di reciprocità, quale può essere il risultato se non una continua involuzione? Dalla Calabria si esporta e alla Calabria torna solo il negativo. E il male resta».
Antonella Crippa