Nuove speranze dalla ricerca scientifica per debellare la malattia di Alzheimer. E il cuore del lavoro sta a Monza, all’università Bicocca. Il team di Massimo Masserini (in foto), professore ordinario di biochimica alla facoltà di medicina, sta ultimando la fase preclinica, ovvero la sperimentazione di su topi transgenici del progetto Nad (Nanoparticles for therapy and diagnosis of Alzheimer desease).
La scoperta consiste nell’aver individuato un farmaco che riconosce e uccide le placche amiloidi che si formano nel cervello in presenza di tale malattia. Placche che generano i noti sintomi dell’Alzheimer: perdita di memoria, riflessi allentati. È un risultato che arriva dopo cinque anni di lavoro che ha coinvolto diciannove partner tra centri di ricerca e piccole e medie imprese dislocate in Italia e paesi europei e impegnato circa 14 milioni e mezzo di fondi Ue. “La malattia insorge –spiega il professore – quando il corpo umano produce in maniera eccessiva, e il perché non si conosce, la betaamiloide, una proteina. Quando è troppa si aggrega nel cervello e crea placche: le placche sono visibili con un esame pet. Ora si è tentato con la ricerca di smantellare le placche. Il nostro farmaco, rispetto a quello prodotto da altri laboratori collegati, ha dimostrato di funzionare meglio: si chiama amyposomes, un acronimo tra amiloide e liposomes”.
Si tratta di un composto particolare, a base di lecitina, che ha in sé due molecole fondamentali: acido fosfatidico, un lipide naturale e la proteina apoè, che esiste anche nell’uomo.
“La presenza di queste due molecole – spiega Masserini- permette al farmaco di passare la barriera che separa il sangue dal cervello, e una volta entrato disfa le placche di betamiloide e le spazza via”. I resti finiscono nel sangue, quindi in fegato e milza.
Il test sui topi ha avuto esito positivo: la malattia scompare, i ratti riacquistano la memoria. La verifica avviene così. Si inserisce nella gabbia un oggetto nuovo: quando il topo è sano lo annusa, lo osserva, cioè percepisce che si tratta di un elemento nuovo nel suo mondo. Quando il topo è malato si comporta in modo indifferente, lo ignora. Ebbene a topi malati e poi trattati col nuovo farmaco un oggetto nuovo è tornato ad essere percepito come oggetto nuovo: in sostanza erano guariti.
“In questo momento e fino a Natale – afferma Adriana Monti, project manager del Nad – facciamo ricerca sempre sui topi con Alzheimer, con primi sintomi, per capire se si riesce a prevenire l’insorgenza della malattia”. E poi? A quando il passaggio successivo della ricerca, ovvero la sperimentazione clinica sull’uomo?
“La ricerca necessita di nuovi fondi –dice il professore Masserini – : sono stati impegnati 14,6 milioni di euro e ce ne vorranno altrettanti: 4 milioni per completare la fase preclinica e 10 per la sperimentazione clinica”. Ad alzare i costi della ricerca almeno tre fattori. Il primo: il farmaco va prodotto in ambiente sterile; il secondo: va dimostrato che la produzione del farmaco in quantità industriale ottiene gli stessi risultati che si hanno in laboratorio; terzo: vanno sostenute le prove tossicologiche. Il buon esito dei tre test viene certificato da società specializzate, che si fanno pagare profumatamente.
Al Ministero non ci sono fondi, alla Ue si possono richiedere ma il prossimo bando cade ad aprile 2015 e, se va in porto, la risposta arriva a novembre: passa un anno. “Per accelerare i tempi dice il professor Masserini stiamo scrivendo a una cinquantina di società venture capital che potrebbero finanziare il prosieguo del progetto, in gran parte si tratta di società svizzere e inglesi.”
Diverse le pubblicazioni scientifiche effettuate, l’ultima in collaborazione con l’istituto Mario Negri di Milano e l’università finlandese di Turku. Il progetto, che ha ricevuto nell’aprile di quest’anno il premio Best Project Award ad Atene, ha l’imprimatur internazionale dell’università Milano Bicocca. Due brevetti che costituiscono una sorta di diritto d’autore.