Carate Brianza – Emilia Vergani non calca più questa nostra terra da un decennio. Eppure è viva e presente. Non solo per il ricordo affettuoso e di stima che di lei hanno il marito Giancarlo e i figli Giovanni, Francesca e Caterina , nonché i numerosi amici, adulti e ragazzi che l’hanno conosciuta. Qui non si tratta di numeri, per quanto importanti. Ma di spirito incarnato nella realtà. E la realtà si chiama In-Presa, l’opera educativa da lei nata e che è cresciuta sempre più anche dopo la sua morte. Si tratta di una colossale impresa educativa nata nel ’99 e che oggi coinvolge 360 ragazzi tra gli 11 e i 19 anni, conta 250 convenzioni di stage all’anno, un fatturato annuo di 3 milioni di euro. Si trova a Carate, il paese di Emilia, nelle ex officine Formenti, in pieno centro.
Per giovani ”pericolanti”
I giovani che la frequentano si possono definire “pericolanti”, cioè gente che rischia “di allontanarsi frequentemente da se stessi e dall’impegno con la realtà”. In una parola tecnica oggi molto in voga, i border line: sono adolescenti che non hanno voglia di studiare, né di lavorare, tendenzialmente portati alla devianza. Ebbene, oggi un libro, di Emanuele Boffi, giornalista della rivista Tempi descrive l’intuizione di Emilia, il suo realizzarsi e diventare cammino di soddisfazione per centinaia di ragazzi, educatori e imprenditori anche oggi, a distanza di dieci anni dalla morte dell’iniziatrice. Si intitola: “Emilia e i suoi ragazzi. L’opera civile della fede” (i Libri di Tempi, Lindau, 184 pp., 16 euro, in libreria dal 2 dicembre). Leggiamo una delle lettere che i ragazzi accolti sono invitati a scrivere ogni fine anno alla fondatrice, giusto per riflettere su quello che hanno vissuto. “Cara Emilia, oggi ti racconto la mia esperienza. A gennaio si è deciso di incominciare un percorso per salvare il mio anno scolastico: ero fuori dalla classe con un solo professore e educatore, che, ogni giorno, aveva la pazienza e la voglia di venirmi a prendere a casa. I motivi per i quali sono stato indirizzato verso questo percorso personalizzato sono: scarsa puntualità e presenza a scuola, consumo di hashish, che comportava sonnolenza in classe, poca attenzione. Ho iniziato uno stage che mi è piaciuto molto. Da quando seguo un percorso personale, pian piano, con fiducia e impegno sono cambiate molte cose: la puntualità, sia a scuola che in stage, è molto migliorata, ho diminuito con le droghe, ma soprattutto sono riuscito a salvare il mio anno scolastico dopo ben tre anni di bocciature. Tutto questo non sarebbe successo se tu, Emilia, non avessi fondato questa scuola. Per questo ti ringrazio di avermi dato questa possibilità”.
Da dove nasce il ”miracolo”
Questo miracolo, uno tra le centinaia avvenuti e in divenire in In-Presa, ha avuto origine da Emilia, un assistente sociale che ha maturato la sua fede in oratorio prima e in Comunione e Liberazione poi. Tutto il libro di Boffi pullula di persone che hanno avuto a che fare con lei e che appartengono al movimento ecclesiale fondato da don Giussani. Primo fra tutti il marito Giancarlo, leader di Cl. Ma chi si aspetta di trovare nelle 180 pagine del libro di Boffi un panegirico del Giuss e l’enfatizzazione dei suoi discorsi rimarrà deluso. Del fondatore viene richiamato il metodo seguito da Emilia, i capisaldi su cui ha impostato l’opera e che sono contenuti nel libro Il rischio educativo del prete desiano. Quasi a significare che la fede non è fatta di omelie e giaculatorie, e nemmeno di discorsi ideologici: la fede è un modo di conoscere la realtà. Più profondo e quindi più fruttuoso.
Il metodo Vergani
Ecco i tre capisaldi del “metodo” Vergani: per prima cosa occorre un adulto che dica: “Vieni dietro a me” al ragazzo; secondo: educare è un lavoro continuo, non si può dunque “mai dire basta”; terzo: i giovani devono potere fare un’esperienza di critica di ciò che vivono. Tre capisaldi del metodo che spiegano il nome dell’opera civile: In – presa sta a significare l’essere presi in un rapporto, con una mano ferma “dentro il casino della vita”. Persona discreta, Emilia Vergani, (Carate 6 novembre ’49 – Encarnacion, Paraguay, 30 ottobre 2000) assistente sociale per il Comune di Carate cominciò da H., uno scapestrato totale, a vivere quello che ha messo nero nel suo diario, una frase mutuata da Santa Teresa del Bambin Gesù: ”Ho scoperto qual è la mia vocazione nella Chiesa:è l’amore”.
Cominciò a trattare quel ragazzo come uno dei suoi figli. Da uno tanti. Un cammino segnato dalla ricerca di fondi e dalla lotta contro l’impreparazione delle istituzioni: c’erano percorsi e aiuti per disabili e tossici, il disagio giovanile negli anni Novanta era ancora un pianeta sconosciuto. Quindi l’appoggio alla associazione La Strada e alla Compagnia delle Opere. Gli incontri inizialmente si svolgevano da “Nando”, ex postribolo in via Matteotti, a due passi da casa di Emilia. Anche casa sua era luogo di incontro, dove adulti e ragazzi potevano chiacchierare. In entrambi gli spazi, però, alle cinque un momento imperdibile: il tè coi biscotti. Anche il raggio non si poteva saltare: il momento della verifica, con le sedie disposte in circolo, di quanto si stava vivendo. E alla sera, giusto per continuare l’amicizia vissuta durante la giornata, ci si poteva incontrare per alcuni giorni la settimana al Circolo. Il luogo di ritrovo nacque nel 1998. Ma che cosa costitutiva la novità di In- Presa nel panorama lombardo e italiano?
L’alternanza scuola – lavoro
Rivoluzionario era il metodo: l”alternanza scuola – lavoro. Ai ragazzi veniva proposto un approccio alla conoscenza diversa dalla scuola tradizionale: meno ore sui banchi, ad apprendere concetti, più ore sui luoghi di lavoro, ad apprendere un mestiere. Solo un anno dopo la nascita di In-Presa, giunge l’improvvisa, imprevista e dolorosissima dipartita di Emilia, in Paraguay, dove era andata al seguito del marito in visita alle comunità di Cl, per festeggiare i 25 anni di matrimonio. Un incidente d’auto, la morte sul colpo. Pochi giorni dopo Carate fu invasa da amici e conoscenti per i funerali: cinquemila persone almeno, annotò il cronista. Quindi l’intitolazione a lei dell’opera educativa, la grande asta di vini per racimolare i soldi necessari a cambiare la sede, l’inaugurazione nell’ottobre 2002 col cardinale Tettamanzi dei locali ristrutturati alla Formenti. Nel frattempo si affinò l’intuizione originale di alternare scuola e lavoro, costruendo percorsi personalizzati per i ragazzi che bussavano alla porta di In –Presa. E il cui numero stava crescendo in modo esponenziale anche a causa dei danni provocati dalla Riforma Berlinguer. L’imposizione dell’obbligo scolastico a 15 anni fu per i giovani del disagio un’altra tegola sul capo: gente già disamorata della scuola tradizionale si trovava di fronte all’obbligo di sobbarcarsi altri due anni di calvario. Ovvio che, non avendo motivazioni, si trascinavano all’uscita dal mondo scolastico in malo modo.
Un luogo di accoglienza
A In-Presa, al contrario, ieri come oggi, trovano persone che li accolgono così come sono, li portano su un posto di lavoro dove il titolare, sia esso carrozziere, falegname o elettricista, assumendo la motivazione di base, fa loro da maestro. L’imprenditore, pur sapendo di avere a che fare con soggetti inaffidabili, dà loro fiducia e ha una persona di In-Presa cui riferirsi in caso di problemi. Ciò che imparano a scuola i ragazzi traducono in nozioni pratiche sul lavoro e viceversa, in un ambiente che garantisce loro lo stesso clima di accoglienza e valorizzazione. In-Presa, sommando la sussidiarietà alla carità, non a caso costituì il prototipo del centri di formazione professionale che nel 2002 la Regione Lombardia guidata da Roberto Formigoni istituzionalizzò con l’accreditamento. In – Presa fece scuola: il modello lombardo fu adottato da altre regioni.
Le testimonianze
Il racconto della crescita dell’opera iniziata da Emilia Vergani si arricchisce nel libro delle testimonianze di amici, sponsor, educatrici, dirigenti e volontari che danno un’idea molto concreta di come l’adesione libera della persona fa la differenza nel creare una società bella, umana. Non mancano nelle loro parole gli aspetti contradditori del reale e le difficoltà incontrate; ma proprio per questo il racconto, lungi dal farsi agiografico, ricostruisce un cammino storico. Completano il quadro, nella parte terza, la relazione di Emilia Vergani al convegno di San Marino, il ricordo del fratello, il diario della protagonista, l’intervista al patriarca di Venezia Angelo Scola, che sposò Emilia a Giancarlo Cesana e celebrò le esequie della piccola grande caratese.
Antonello Sanvito