Angelo, Mario e Rodrigo non si fermano neppure per un istante: mescolano, infornano e impiattano, senza sosta. Del resto, sul loro grembiule il motto parla chiaro: “Il quarto si fa in quattro”. La cucina dell’oratorio del Santissimo Redentore, in Duomo, per una domenica è la loro cucina. Sono bastati dieci minuti per prendere le misure dello spazio mai visto: sanno come muoversi in una cucina. Tutti e tre lavorano nel ristorante “InGalera” della casa circondariale di Bollate, alle porte di Milano. Qui, nell’avventura del primo e unico ristorante in Italia realizzato in un carcere e aperto al pubblico, i tre detenuti sorprendono i clienti con ottimi piatti. E l’effetto sorpresa lo hanno creato anche a Monza, dove sono arrivati, con altri cinque detenuti tutti del quarto reparto a trattamento avanzato (ecco l’origine del motto sul grembiule, ndr), dove molti giovani, e anche adulti, sono parte di un percorso rieducativo che implica anche il lavoro, lo studio e le ore da dedicare agli altri. Ad accompagnarli, ci sono tre volontarie della cooperativa sociale Articolo 3, che hanno dato loro una mano per il pranzo per 150 commensali. E il sapore dell’iniziativa è tutto benefico.
I detenuti hanno infatti voluto allestire una grande tavolata per raccogliere aiuti per la Casa di Borghetto dell’Unitalsi, sezione di Monza. Un’iniziativa che ha preso forma dalla collaborazione tra due realtà solo apparentemente distanti: quella carceraria e quella della disabilità. A metterle insieme ci ha pensato l’entusiasmo di Debora Guerra, 26enne monzese, studentessa di Giurisprudenza. Volontaria sia con l’Unitalsi, nella mitica struttura di vacanza in Liguria, e sia nella casa circondariale di Bollate, dove fa tutoring proprio per uno degli chef, Rodrigo, nel suo percorso universitario. Debora ha coinvolto nell’idea, partita proprio dai detenuti, il direttivo Unitalsi guidato da Paolo Broggio. Poi, anche con l’impegno della segretaria della sezione Monica Vergani e di Laura Longoni, e il coinvolgimento di Articolo 3, (che in carcere si occupa da anni di promuovere attività culturali e sociali, oltre a percorsi di formazione), quel desiderio dei detenuti di fare qualcosa per gli altri si è concretizzato e il pranzo è stato servito. Le materie prime sono stati offerte dai detenuti e per Unitalsi il ricavato delle offerte dei commensali è andato tutto alla “Casa della Gioia”. Gli chef sono stati aiutati da altri del quarto reparto: Nino, Carmelo, Luca, Davide e Jafar (anche suo figlio, studente, è arrivato a Monza per dare una mano) hanno portato a tavola, antipasti, un buon risotto alla monzese, un arrosto alla birra e un tortino caldo al cioccolato. Tra loro c’è chi ha già fatto qualche piccola esperienza come volontario, ma per la maggior parte è stata, di fatto, la prima uscita dal carcere dopo lungo tempo.
Come Davide, che guarda la sua famiglia, seduta a un tavolo, tra gli altri commensali, e si emoziona. «È la prima volta che esco dal carcere dopo 12 anni – ci confida -. E questa giornata è divenuta per me un’occasione di riscatto anche davanti ai miei cari». Prima del pranzo, i detenuti hanno preso parte anche alla messa delle 12 in Duomo. Davide si è prestato alla seconda lettura: «Un’emozione incredibile. Meno male che Monica (Sambruna, ndr) di Unitalsi, mi ha dettato i tempi, mi ha sostenuto». E così non Davide ha sbagliato nulla. Lo stesso entusiasmo lo ha messo poi nel servire ai tavoli. E anche nell’incontrare tante persone. «La cosa più bella di questa giornata è potermi rapportare con gli altri, fuori dal carcere, e con i ragazzi disabili: mi hanno abbracciato, senza pregiudizi, senza etichette. E io ho ascoltato storie, le loro storie. Era da tanto che non incontravo le storie della gente». E prima ancora del pranzo, Davide ha anche realizzato il volantino e la locandina della giornata: «Mi sono sentito utile, fare qualcosa per gli altri ci fa stare bene».
E dopo il pranzo c’è stato anche spazio per un pomeriggio di musica con il “Boz Trio” che ha scelto di condividere l’esperienza di volontariato. Ruben Vitali al clarinetto, Alberto Capsoni al contrabbasso e il monzese Davide Longoni alla chitarra, hanno dato spazio alla musica tradizionale di paesi diversi e lontani tra loro, dove l’Est Europa fa da guida con i suoi ritmi.
«L’idea di fare nel tempo della pena qualcosa di costruttivo per gli altri – spiega Paola Villani di Articolo 3 – è dare sfogo a una sorta di desiderio di riparazione al danno sociale creato dal reato, che certamente genera un’onda positiva». «Abbiamo subito sposato l’idea – commenta Broggio di Unitalsi – con la valenza ulteriore di un evento nella Giornata del malato e un pranzo che fa sentire tutti a casa». Anche qui, in fondo, a due passi dal Duomo, è un’altra Casa della gioia, come a Borghetto. Là, disabili, volontari e famiglie, vivono con semplicità un luogo di svago e grandi amicizie. Qui, tra la cucina e il salone, disabili, volontari, famiglie, commensali (tra loro anche l’arciprete don Silvano Provasi e il suo predecessore don Dino Gariboldi), detenuti-chef e camerieri hanno vissuto la dimensione del dono reciproco. Oltre qualsiasi tipo di barriera e costrizione.