Giussano – Da promessa del calcio italiano a padrino e capo del locale di Giussano. Fino al 13 luglio 2010 quando per lui scattano le manette. Il suo nome sta in calce all’operazione Infinito assieme ad altre 159 persone. Tre mesi dopo Antonino Belnome, nato a Giussano nel 1972, affiliato alla cosca Gallace di Guardavalle, ci ripensa e decide di pentirsi, ammettendo la sua appartenenza alla ‘ndrangheta e confessando diversi omicidi. Il pentito parla e riempie migliaia di pagine di verbale,un vero e proprio memoriale. E’ stato lui, la scorsa settimana, come è stato ripreso dalle cronache nazionali, il protagonista di un interrogatorio fiume e risponde per ore ha risposto alle domande del sostituto procuratore Alessandra Dolci.
L’ex padrino della Brianza,uno degli esecutori materiali dell’omicidio del boss Carmelo Novella a San Vittore Olona il 15 luglio 2008, di cui ha ricostruito i motivi dell’eliminazione, dai dissidi personali alle strategie per l0 organizzazione delle locali, racconta l’inizio della sua carriera, parla del rapporto di amicizia con Rocco Cristello, boss ucciso il 27 marzo 2008 davanti alla sua villa di Verano Brianza, svelando gli scenari che portarono all’omicidio e quelli che ne conseguirono. Il collaboratore di giustizia racconta dei primi contatti con l’ndrangheta, all’inizio del 2000, all’Ortomercato di Milano, quando era un contrasto onorato “cioè una persona non ancora affiliata ma molto vicina alla ‘ndrangheta”, fino agli incontri decisivi e alla sua affiliazione e la rapida scalata alla carica di padrino. Belnome elenca gli affiliati alla locale di Giussano, di cui lui per quasi dieci anni è stato padrino.
Il pentito fa nomi e cognomi sia di chi è già in carcere sia di quelli che sono rimasti fuori. Quindi del rapporto stretto con Cristello, ucciso verso le 11 di sera del 23 marzo sotto casa in via Comasina a Verano”. Sotto la villa la sua Cinquecento bianca viene speronata e lui crivellato di colpi. I particolari dell’omicidio vennero raccontati a Belnome nei giorni successivi, quando incontrò, al Laghetto di Giussano uno dei componenti del commando. Un vero capo. Lo dice lui stesso di sé, nel suo memoriale scritto tra il 2010 e 2011, in cui parla anche della sua affiliazione: «Ero diventato boss e potevo comandare cinquanta uomini. La mia è stata una scalata vertiginosa.
Decidevo su tutto, per qualsiasi cosa avrebbero dovuto parlarne con me. Alle mangiate con capretto e agnello, si iniziava solo quando io davo l’invito con un buon appetito. Era come essere tre metri sopra al cielo. Gli uomini mi ammiravano. Quando uscivamo la sera, per andare in qualche posto nuovo, avevo l’abitudine di guardare tutti in faccia. Il rischio sta dietro l’angolo». Lui la ‘ndrangheta, nelle sue memorie,la definisce «un caleidoscopio dentro al quale i colori si deformano storcendosi e dove cammini con i piedi senza toccare terra».
Federica Vernò