Il gran premio degli Stati Uniti, che si disputerà domenica ad Austin, nel Texas, mi riporta indietro negli anni, precisamente al 1977, anno della mia prima stagione ufficiale da inviato del Corriere della Sera in Formula 1. Conclusa la fase delle gare europee, di quell’anno, del mondiale con il Gran premio d’Italia a Monza, il Circus doveva spostarsi oltre Atlantico per disputare, il 2 ottobre, il GP Usa Est sul tracciato di Watkins Glen, paesotto di circa 8 mila abitanti situato nel Nord dello stato di New York. Per arrivare a Watkins Glen ci si doveva spostare dall’aeroporto Kennedy al La Guardia e di lì, per raggiungere Elmira che era abbastanza vicina al circuito, salire su biplano che assomigliava a quelli che Walt Disney disegnava per i viaggi di Topolino e Paperino: una pancia enorme e la colorazione blu e gialla. Trovare un alloggio a Watkins Glen era impossibile senza avere amici che te lo prenotassero da New York. Nella Grande mela viveva una famiglia di italiani amici di Clay Regazzoni, i Piccirillo. Padre e due figli, il più grande era titolare di una galleria d’arte, il minore era architetto e lavorava soprattutto con le ricche famiglie dell’Arabia Saudita. Il padre era una specie di patriarca, riverito e obbedito.
Arrivati a Watkins Glen, trovai alloggio una camera con due letti che dividevo con Bonaventura Franco, giornalista di Autosprint, al Glenn Motor Inn: una specie di Motel tenuto da emigranti italiani il cui padrone ti bussava in camera a mezzanotte urlando: “Venite a vedere le finale del baseball che si giocano a San Francisco”. Il circuito si raggiungeva con l’auto, il cui noleggio avveniva all’aeroporto di Elmira.
I Piccirillo erano amici di Clay Regazzoni e tifosi della Ferrari. La qualifica di quell’anno, che si faceva nelle due giornate di venerdì e sabato, vide la McLaren di James Hunt in pole sin dal primo giorno davanti alle Brabham di Joachim Stuck e John Watson, seguiti dalle Lotus di Mario Andretti e Ronnie Peterson e dalle Ferrari di Carlos Reutemann e Niki Lauda. Il sabato piovve e Lauda, tenendo fede a quel che aveva fatto l’anno prima in Giappone, disse che se fosse piovuto anche la domenica non avrebbe corso. Aveva già detto, dopo il GP d’Olanda, a Enzo Ferrari che nel 1978 avrebbe corso per la Brabham Alfa Romeo di Bernie Eccllestone e stava meditando, qualora fosse riuscito gia a conquistare al Glenn il titolo mondiale, non avrebbe corso in Canada e in Giappone. La domenica non piovve, la gara fu disputata sulla pista asciutta: Hunt la vinse, Andretti arrivò secondo con la Lotus, Jody Scheckter terzo con la Wolf e Niki Lauda quarto conquistando il titolo mondiale. Una conferma arrivò da Regazzoni che, al volante della Ensign, conquistò il quinto posto, lo stesso che aveva conquistato nella gara precedente, a Monza.
La sera dopo la corsa, per festeggiare il quinto posto di Clay e il suo compleanno (che era caduto il 5 settembre) al padre dei Piccirillo venne l’idea di organizzare una cena italiana alla quale furono invitati alcuni amici di Clay, una sorta di clan ticinese composto da “goliardi” che abitavano a Lugano ed erano stati tutti compagni di scuola del pilota. Il bello venne quando il padre Piccirillo, ottenuta l’autorizzazione di utilizzare la cucina del Motor Inn, stabilì con una certa solennità chi avrebbe preparato le varie portate, dalla pastasciutta al dolce. “Tu, Nestore – disse indicandomi – cucinerai gli spaghetti alla salsa di pomodoro. Le scatole di salsa te le procuro io”.
Fu così che cucinai, per la prima volta dopo i verdi anni dello scoutismo, una pasta asciutta per venti persone. Quando tirai fuori gli spaghetti dal pentolone erano talmente scotti da sembrare colla e la salsa, dolcissima, li rendeva ancora peggiori di quel che fossero. Mi venne l’idea di farli assaggiare, prima di distribuirli, al Piccirillo senior. Lui ne mangiò una forchettata, stette qualche secondo in silenzio, poi esclamò: “Buoni, davvero buoni”. E tutti cominciarono a mangiare. Finita la pasta, Clay si alzo e mi sussurrò all’orecchio: “Moro, spaghetti così cattivi non si fanno neppure nella Svizzera tedesca”. Ma il mio onore di cuoco, ormai era salvo.
Il giorno dopo, salutati i Piccirillo e il clan dei luganesi, dovevo partire per Mosport, tracciato nei pressi di Toronto, dove la domenica dopo si sarebbe disputato il GP del Canada. Lauda, fresco iridato per la seconda volta, aveva annunciato che avrebbe lasciato da subito la Ferrari e non avrebbe corso nelle due ultime gare del mondiale. Era scoppiato un putiferio quando, con scarso senso della generosità e della riconoscenza, Niki aveva dedicato il titolo al suo capo macchina, Ermanno Cuoghi che lo avrebbe, poi, seguito alla Brabham Alfa Romeo. Lavorai fino a tarda sera e il lunedì pensai a come raggiungere Mosport senza passare per Toronto, il che avrebbe comportato un viaggio verso Syracuse, popolosa città abbastanza vicina al Glenn e dotata di aeroporto internazionale per prendere un volo e raggiungere la capitale dell’Ontario e di lì proseguire per il circuito ancora in auto.
Da Watkins Glen a Mosport ci sono circa 600 chilometri. Un bel viaggio che si può interrompere alle cascate del Niagara, qualche chilometri prima di entrare in territorio canadese. Ero ormai intenzionato a prendere l’aereo da Syracuse a Toronto, quando accadde un fatto inaspettato.
“Ma quale aereo – mi disse Eugenio Zigliotto, compianto collega allora anche lui inviato di Autosprint – Chiedi un passaggio a un pilota e vai con lui. Per esempio Carlos Reutemann è solo: chiedi e vedrai che ti porta”.
Non notai il lampo che gli passava negli occhi, furbizia pura. Anzi, fare un viaggio col pilota di punta della Ferrari mi stuzzicava anzichenò.
Andai da Reutemann e chiesi il passaggio. “Certo gringo – mi rispose chiamandomi alla maniera argentina – faremo la strada insieme e parleremo di calcio”. Partimmo per Mosport, la mattina dopo la colazione. Carlos guidava rispettando scrupolosamente i limiti di velocità e quindi la marcia era piuttosto lenta. All’una circa avevamo percorso i 200 chilometri fino alle cascate, ci fermammo a pranzo.Una mezzoretta e ripartimmo.
L’Inter, la Juve, il Napoli, la nazionale Argentina: Carlos guidava sempre uguale, rispettando i limiti, cosicché le ore passavano a l’avvicinamento a Toronto non era così veloce come avevo previsto fosse per un pilota di formula 1.
In territorio canadese, la velocità limite in autostrada era di 100 orari: Reutemann rispettava scrupolosamente anche questa. Ad un certo punto passò un’auto a forte velocità, 140-150 o giù di lì. Al volante c’era John Watson. Ne passò un’altra, ancora velocissima, guidata da Clay con dentro i Piccirillo. Ero quasi convinto che l’andamento lento fosse un riguardo nei miei confronti, forse Carlos pensava che guidare veloce mi avrebbe spaventato. Mi feci coraggio e gli dissi: ”Carlos, visto Watson e visto Clay? Se vuoi puoi andare anche più veloce”. Carlos si girò verso di me, sfoderò il suo bellissimo sorriso e m’impiombò: ”Nestor, io sono pagato per correre in pista non sulle strade normali”.
Solo allora mi rivenne in mente il lampo furbo negli occhi di Eugenio Zigliotto. Lui conosceva bene le abitudini di Carlos Alberto. Risultato del viaggio: Watkins Glen-Toronto 600 km in 13 ore, pranzo compreso alle cascate del Niagara.
Ma da allora fra me e Carlos Reutemann è nata un’amicizia che dura tuttora. Lui è un politico affermato in Argentina; io posso chiamarlo al cellulare in ogni occasione, anche se dovesse essere nello studio del presidente della Repubblica. Cosa che è già accaduta ai tempi di Carlos Menem.