Carate, neonata morì dopo il parto. Ginecologo sotto processo

Besana, il medico va in pensioneNiente mammografie al Viarana

Carate – Non aver disposto il taglio cesareo, insistendo invece per il parto naturale. Questa l’accusa su cui ruota il processo per la morte della piccola Alessandra, nata all’ospedale di Carate nell’ottobre del 2006 e morta dopo due giorni al reparto di terapia intensiva neonatale dell’ospedale di Lecco in seguito a una grave insufficienza cardiocircolatoria. Una tragedia per una coppia di giussanesi di 32 e 37 anni, per la quale oggi si trova sotto processo un ginecologo di 60 anni di Besana, all’epoca dei fatti in servizio al nosocomio cittadino. L’accusa è omicidio colposo. Secondo il capo di imputazione, la responsabilità del medico consisterebbe nel non aver convertito il parto in un intervento di taglio cesareo dopo che le ostetriche (la cui posizione è stata archiviata all’epoca dell’inchiesta preliminare) avevano ravvisato tracce di sangue nel liquido amniotico.

La testimonianze dell’ostetrica – Proprio una delle ostetriche in servizio la notte tra 17 e 18 ottobre di tre anni fa ha deposto ieri di fronte al giudice Franca Anelli del tribunale di Monza. «All’epoca ero affiancata da una collega più esperta- ha detto l’ostetrica, oggi 26enne – abbiamo proceduto al monitoraggio del battito cardiaco del feto, ed era regolare, la signora, arrivata verso le 21, ha iniziato il travaglio verso le 22, quando le contrazioni hanno iniziato a essere più forti. Alle 2 c’è stata la rottura del sacco amniotico: abbiamo riscontrato la perdita di liquido limpido, misto a sangue, così abbiamo chiamato il ginecologo (l’imputato nda)». È questo il momento fondamentale ai fini di stabilire se l’accusa è fondata o meno. L’ostetrica ha riferito che le perdite erano «normali», salvo poi rispondere, dietro domanda dell’accusa, il viceprocuratore onorario Tiziana Biffi, che lei e la collega chiamano il medico ogni volta che «c’è qualcosa che non ci convince».

Il neonatologo di Lecco
– Molto tecnica anche la deposizione del neonatologo dell’ospedale di Lecco intervenuto per tentare di salvare la bambina, che subito dopo aver visto la luce versava in gravi condizioni perché nata con un “basso volume ematico”, in sostanza, con troppo poco sangue in circolazione. «Secondo i parametri clinici che ho riscontrato al momento in cui sono intervenuto con la mia unità – ha ammesso alla fine – ritengo che la bimba non fosse stata assistita in maniera idonea, perché la ventilazione era insufficiente». Al suo arrivo, il medico aveva applicato una cannula diversa per la respirazione, applicandola non solo alla cavità orale, ma anche alle vie nasali. Le parole del medico fanno pensare a una condotta negligente, ma forse non imputabile al ginecologo sotto processo. Decisiva sarà l’audizione dei consulenti, a settembre. La coppia era reduce da tre aborti spontanei: in questi anni, è riuscita ad avere un bambino.
Federico Berni