Monza – Si compra in seguito ad una delusione, per superare una frustrazione, per colmare un vuoto. Fare shopping può regalare momenti di piacere, ma, quando non si riesce più a controllare l’istinto di acquistare, quando non si è più in grado di uscire senza finire alla cassa di qualche negozio, quando si ha la consapevolezza che è un danno, ma non si riesce a farne a meno, allora si parla di shopping compulsivo.
E’ una nuova dipendenza che, contrariamente al gioco d’azzardo, colpisce prevalentemente le donne. Per la precisione il 70% di donne contro il 30 di uomini.
Come per tutte le nuove dipendenze si parla di un fenomeno che colpisce dall’1,5 al 3% della popolazione, prevalentemente donne intorno ai 40 anni, delle classi meno abbienti. Non sono immuni gli uomini, anche se la loro irrefrenabile voglia all’acquisto è orientata soprattutto verso prodotti tecnologici come telefonini sempre più sofisticati, computer o automobili quando il conto in banca lo consente.
Le donne invece acquistano di tutto: dai prodotti per la casa all’abbigliamento, da creme e profumi a scarpe e gioielli. Di per sé acquistare è piacevole. Dal punto di vista fisiologico nel circolo sanguigno possono aumentare le endorfine, le dopamine, le citochine, la noradrenalina, tutti neuro-ormoni che innalzano il tono dell’umore.
«Acquistare con moderazione – spiega Giampaolo Perna, direttore a Villa Menni e docente all’università di Miami e Maastricht – è assolutamente normale. Nello shopping compulsivo si innescano dei circuiti automatici su un terreno predisposto da un punto di vista genetico- biologico». Le nuovi abitudini di acquisto certo non aiutano chi soffre di questa dipendenza. «Una volta vivevamo in un mondo più protettoprosegue Perna- adesso siamo circondati da centri commerciali dove le persone malate passano intere giornate e l’acquisto on line ha reso ancora più facile spendere».
Generalmente le persone vittime di questa dipendenza non se ne rendono conto e non chiedono aiuto. «I nostri pazienti arrivano da noi accompagnati dai famigliariprosegue Cavedini- la maggior parte non vuole ammettere la dipendenza e pensa di poter smettere quando vuole. Altri invece ne hanno vergogna».
Il percorso di cura è simile a quello per la cura delle altre dipendenze. «Lavoriamo su percorsi integrati-spiega Cavedinicerchiamo di curare anche il contesto, cioè la famiglia che davanti ad una dipendenza non sa cosa fare. Si fa una consulenza con lo psichiatra, si imposta una terapia farmacologica e una psicoterapia. Il che può voler dire arrivare a simulare una giornata di shopping insieme allo psicoterapeuta per verificare i progressi fatti».
Rosella Redaelli