Afterhours nella storia del BloomPoi i Nirvana e Fernanda Pivano

Pancakes, light drink, vodka e vino rosso per i Nirvana. La dolcezza di Fernanda Pivano, che rapì il pubblico in un pomeriggio sulla beat generation. E il legame con gli Afterhours di Manuel Agnelli: quattro passi nella storia del Bloom di Mezzago.
Afterhours nella storia del BloomPoi i Nirvana e Fernanda Pivano

Mezzago – Quattro casse di birra e trenta litri di light drink, succhi di frutta, acqua minerale naturale. Ma anche vodka e vino rosso. E poi cibo sano («non fritto») per soddisfare diciotto persone vegetariane oppure, naturalmente, no. Il fax con le richieste del management di Seattle è saltato nelle mani di Massimo Pirotta durante le operazioni di riordino delle informazioni da inserire nel libro dedicato ai venticinque anni di Bloom. «Pancakes are cool, kebabs are not», scrivevano. Ora, a parte la difficoltà di trovare nel 1991 un kebab in Brianza (che deve avere aiutato molto) rispetto alle focaccine dolci, ai signori del Bloom con i Nirvana era andata abbastanza di lusso.
Kurt Cobain e soci erano appena diventati profeti del movimento grunge, investiti dal successo planetario di “Nevermind”. Ma non si erano montati la testa: il 17 novembre, come previsto, nonostante il tutto esaurito e le pressioni per spostare il concerto in un luogo più grande, salirono sul palco del Bloom. Per la seconda volta (ma la prima da star). E’ probabilmente il concerto che tutti ricordano.

Ma non è l’unico gruppo ad avere legato indissolubilmente (con coscienza oppure no) il proprio nome con quello del locale di Mezzago. Tra questi sicuramente ci sono gli Afterhours e non è un caso che al cantante, Manuel Agnelli, sia stato chiesto di scrivere la prefazione del libro in uscita a maggio. «Il Bloom e gli Afterhours sono nati e cresciuti insieme – racconta Pirotta – Trovare un palcoscenico a Milano, tra la fine degli anni ’80 e i primi ’90, non era facile per i gruppi non ancora affermati. Manuel era la figura centrale di un rock indipendente che stava nascendo, produttore e ideatore di un festival (il Tora! Tora!) mosso dalle nostre stesse ambizioni. Con la sua filosofia di rock club all’inglese, il Bloom ha dato spazio a tutti».

E in cambio ha ricoperto un ruolo nelle carriere di Afterhours, Cristina Donà, La Crus di Mauro Ermanno Giovanardi, Modena City Ramblers (nel 1994 col tour di Riportando tutto a casa). Protagonisti sul palco, ma anche come spettatori o coinvolti nelle iniziative.
«Per esempio nel ’94, per una pubblicazione, avevamo chiesto ai musicisti i loro dischi preferiti dell’anno: diversi tra questi avevano indicato il nome di Ivano Fossati e da lì è nato il disco-tributo “I disertori”, prodotto con Davide Sapienza». Facile.

Il ricordo nel cuore? «Fernanda Pivano, a metà anni ’90. In una giornata sulla beat generation ci saremmo aspettati un pubblico di “reduci”, invece il Bloom si riempì di giovanissimi. Lei parlò per oltre tre ore. Dolce e disponibile, alla fine chiese solo una bottiglietta d’acqua. Poi il regista Ugo Gregoretti, un vero signore. E Paul Simonon dei Clash con gli Havana 3 am». L’occasione persa? «Il no ai Rage Against the Machine, un tutto esaurito sicuro, perché era già fissata la data con un gruppo che poi fece quaranta paganti. E’ questo il bello, vivere il dietro le quinte. E capire veramente il rock».
Chiara Pederzoli