Ora abbiamo anche la “variante Omicron”. La 14esima mutazione, tra quelle classificate dall’Organizzazione mondiale della sanità, del virus responsabile della patologia nota come Covid-19 non è ancora stata analizzata nel dettaglio che già diversi organi di stampa si sono affrettati a chiamarla “la variante dell’orrore”.
ppure, come spiegano tanti professionisti della medicina, è assai più frequente il caso in cui le varianti di un virus nuovo siano destinate a renderlo maggiormente adattabile all’organismo ospite (l’uomo) e, quindi, meno aggressivo, piuttosto che il contrario. Questo, allora, costringe ad aprire una riflessione sull’etica professionale di tanti colleghi che lavorano nel campo dell’informazione.
Il “quarto potere” ha ancora una forza enorme nel determinare, con la narrazione che propone degli eventi, i processi di costruzione dell’immaginario collettivo. Le parole nei titoli di giornale, insomma, hanno un peso e in un momento in cui, grazie ai vaccini, si sta faticosamente tornando alla normalità dopo un biennio che ha provocato danni enormi non solo alla salute ma anche e soprattutto al tessuto sociale ed economico del Paese, il senso di responsabilità non dovrebbe essere proprio solo di chi (come i “comuni” cittadini) con la pandemia deve convivere, ma anche di chi, quotidianamente, gliela racconta.