Uno studio, realizzato per conto della Provincia, lo ha certificato: la vita dei pendolari brianzoli che, per loro sfortuna, ogni giorno sono costretti a riversarsi sulle varie arterie urbane e non per esigenze di lavoro, assomiglia vagamente a un purgatorio. Costretti a stare incolonnati per ore, prigionieri dei propri veicoli su strade perennemente congestionate (con velocità medie che, nelle ore di punta, non superano di molto i 20 chilometri orari, un incubo), i più si sottopongono a questo masochistico rituale quotidiano solo per potersi guadagnare il famigerato “pezzo di pane” (e poco oltre, vista l’inflazione). Senza contare la quota di stipendio che finisce bruciata proprio per via degli spostamenti, con il caro carburanti.
Ma perché questo continua ad accadere? Non si era detto, durante la pandemia, che il ricorso allo smart working, per lo meno in quelle realtà in cui non vi sono esigenze tali per cui la presenza fisica si renda obbligatoria, fosse un processo irreversibile? È evidente, a fronte di certi dati, che tale previsione, almeno in Brianza, non si sia avverata. E non bisogna avere il timore di dire che, tra le cause, vi è forse anche un problema culturale: in molte aziende, il collaboratore è ancora un soggetto da “sorvegliare”, una ”proprietà del padrone” durante l’orario lavorativo. Questo però, nel 2023, è francamente inaccettabile.