Se il 34% dei lavoratori lombardi è scontento della propria busta paga, per l’83% dei brianzoli avere uno stipendio adeguato è la principale fonte di soddisfazione sul lavoro. A rivelarlo è una ricerca dell’agenzia MAW. Che sorpresa, verrebbe ironicamente da dire. Perché, mentre certa retorica (ampiamente sostenuta nell’ambito di roboanti convegni e rilanciata dai media e dagli uffici risorse umane di tante aziende) continua da anni a propinarci la teoria secondo cui sarebbero altri i fattori che determinano la felicità di un lavoratore, la realtà, come sovente accade, sconfessa la propaganda.
Non si lavora per il piacere di farlo, ma per mantenere qualcosa o qualcuno: una famiglia, una casa, un mutuo. E un impiego, a meno che non sia anche una passione (una situazione che riguarda pochissimi fortunati), è sempre e principalmente un mezzo di sussistenza. Che, complice l’inflazione, oggi molto spesso è insufficiente a far fronte a tutte le spese che è necessario affrontare. Balza all’occhio, dunque, una verità lapalissiana: in questa situazione, la principale priorità di una classe dirigente democratica degna di questo aggettivo dovrebbe essere quella di invertire la rotta, per garantire ai propri cittadini migliori condizioni di vita. Già, ma allora perché la politica italiana (e non solo) discute di tutto, tranne che di salari?