Chi scrive di calcio ne capisce poco. Eppure anche un profano del pallone non può non rendersi conto di una verità dolorosa: i festeggiamenti di parte del pubblico dello U-Power Stadium ai gol dell’Inter contro la squadra di casa non sono un bel segnale, non solo dal punto di vista sportivo. È difficile immaginarsi la stessa cosa avvenire in una piazza come Bergamo, solo per fare un esempio.
Perché in ogni realtà fiera della propria identità e consapevole delle proprie radici il club calcistico di riferimento è una sorta di religione laica. E non ci sono “big” che tengano. A Monza e in Brianza, però e purtroppo, non è (ancora?) così. E bene fa il leader della “Curva Pieri”, l’amico Fausto Marchetti, a ricordare, con cadenza regolare, come fossero in pochi a seguire i biancorossi ai tempi in cui questi militavano sui campetti della Serie D.
Con i fasti dell’era Berlusconi in tanti sembrano essersi “convertiti” sulla via di Damasco, ma a giorni alterni: le sciarpe biancorosse vengono esibite con nonchalance su bacheche social dove contemporaneamente trovano spazio quelle nerazzure o rossonere, come se si trattasse di hashtag di tendenza. La “colpa”, forse, più che delle scarse vittorie del passato, è del fatto che Monza, nonostante le sue dimensioni, fatica ancora a percepirsi come una “vera” città, un capoluogo di provincia. Ci riuscirà mai?