L’editoriale del direttore, una riflessione “nel pallone”: ma Monza e la Brianza sanno cosa sono?

Anche un profano del pallone non può non rendersi conto di una verità dolorosa: i festeggiamenti di parte del pubblico dello U-Power Stadium ai gol dell’Inter contro la squadra di casa non sono un bel segnale, non solo dal punto di vista sportivo.
Cristiano Puglisi
Cristiano Puglisi

Chi scrive di calcio ne capisce poco. Eppure anche un profano del pallone non può non rendersi conto di una verità dolorosa: i festeggiamenti di parte del pubblico dello U-Power Stadium ai gol dell’Inter contro la squadra di casa non sono un bel segnale, non solo dal punto di vista sportivo. È difficile immaginarsi la stessa cosa avvenire in una piazza come Bergamo, solo per fare un esempio.

Perché in ogni realtà fiera della propria identità e consapevole delle proprie radici il club calcistico di riferimento è una sorta di religione laica. E non ci sono “big” che tengano. A Monza e in Brianza, però e purtroppo, non è (ancora?) così. E bene fa il leader della “Curva Pieri”, l’amico Fausto Marchetti, a ricordare, con cadenza regolare, come fossero in pochi a seguire i biancorossi ai tempi in cui questi militavano sui campetti della Serie D.

Con i fasti dell’era Berlusconi in tanti sembrano essersi “convertiti” sulla via di Damasco, ma a giorni alterni: le sciarpe biancorosse vengono esibite con nonchalance su bacheche social dove contemporaneamente trovano spazio quelle nerazzure o rossonere, come se si trattasse di hashtag di tendenza. La “colpa”, forse, più che delle scarse vittorie del passato, è del fatto che Monza, nonostante le sue dimensioni, fatica ancora a percepirsi come una “vera” città, un capoluogo di provincia. Ci riuscirà mai?