Missili, ipocrisia e silenzi complici: quattro righe dedicate a tutti coloro che hanno ancora la schiena dritta

Intervento del direttore del Cittadino Marco Pirola
Editoriale
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C’è una scena che si ripete sempre uguale, puntuale come la sfilata del 25 aprile sotto la pioggia. Esplode una guerra, arriva una tragedia umanitaria, scoppiano proteste. E come funghi velenosi dopo un temporale, spuntano quelli che “manifestano” spaccando vetrine, incendiando cassonetti, devastando città. Gridano “Palestina libera”, ma lo fanno mentre rubano in un Foot Locker. Parlano di diritti, ma pestano la Polizia. Strillano “giù le mani dai civili” e intanto tirano sanpietrini su chiunque passi con una divisa.

Il dramma di Gaza diventa così il nuovo tema per l’aperitivo con cocktail molotov. Nulla dice “giustizia per i palestinesi” come una vetrina di Zara sfondata o un motorino dato alle fiamme. Poi però li trovi a casa, col Macbook acceso, a fare stories indignate contro “il capitalismo coloniale”. Della coerenza, evidentemente, hanno smarrito le istruzioni.
E mentre questi rivoluzionari da Centro sociale giocano a fare Che Guevara tra una lattina e una felpa griffata, dall’altra parte del palco, sul versante della destra, si consuma una tragedia diversa, ma forse ancora più grottesca: il silenzio.

Io, che vengo da quella destra vera, quella che aveva ancora la schiena dritta, non posso più restare zitto. Quella che parlava di popoli liberi, identità, autodeterminazione. Non quella che oggi balbetta comunicati fotocopia, si genuflette a ogni comunicato USA e si rifugia dietro lo scudo automatico del “Eh ma Hamas”. Ma Hamas cosa?
Mi fa schifo vedere lo Stato di Israele, col nostro silenzio complice, bombardare uno dei territori più poveri e isolati del pianeta con una tecnologia da videogioco militare. Scusatemi se non credo più alla favola che l’unico modo per “esportare la democrazia” sia col napalm intelligente.

Non sono un pacifista arcobaleno. Non ho tatuaggi del Che. Non vado in piazza a gridare slogan imparati su TikTok. Ma ho una coscienza. E non è iscritta a nessun partito. A Gaza c’è un massacro in corso. Non una guerra. Un massacro. E se bisogna dirlo da destra, va bene, lo dirò. Perché chi difende l’identità solo quando è comodo, non è di destra: è un codardo in giacca e cravatta. Basta con i “celoduristi” da salotto che indossano le pantofole di Gucci con il pelo e che pontificano dall’alto o dal basso (a seconda dei punti di vista) del divano. Vedo parlamentari di “valori occidentali” abbracciare chiunque porti la stella di David, anche se sta radendo al suolo un ospedale.
Vedo la nuova destra, così fiera di “difendere i popoli”, stare zitta mentre un intero popolo viene cancellato in HD. La sinistra italiana, la stessa che per anni ha flirtato con le peggiori dittature antioccidentali, oggi ha almeno il coraggio di dire che Gaza è una tragedia umanitaria. Non cambia il mio giudizio su di loro, ma almeno parlano.
Dall’altra parte, invece, solo silenzi imbarazzati. O peggio: slogan prefabbricati, prese di posizione da comizio, conditi da lacrime usa e getta come i rasoi della pubblicità. Debbono difendersi, dicono. Difendersi da chi, esattamente? Dai bambini sotto le macerie? Dai malati di un reparto oncologico? Dai fantasmi?

Io non mi riconosco in questa caricatura muta, cieca, imbavagliata. Io resto di destra. Ma non sono complice. Non sono pavido. E soprattutto, non sono cieco. So distinguere tra difesa e sterminio. Tra propaganda e realtà. Tra sicurezza e annientamento. Chi oggi ha il coraggio di stare dalla parte dei civili palestinesi non è “filoterrorista”, è semplicemente umano. Davanti a una carneficina, stare zitti è peggio di mentire. E no, non mi fregano nemmeno quelli che cercano di deviare la conversazione su “gli altri conflitti dimenticati”. Certo che esistono. Ma nessun altro genocidio è trasmesso in diretta streaming, col beneplacito di chi finge di rappresentarci. La coscienza non è una bandiera, non è un partito, non è tantomeno un hashtag. La coscienza è quella vocina bastarda che ti sveglia nel cuore della notte e ti chiede: “E tu, che cazzo hai fatto mentre tutto questo succedeva?”
La storia, oggi, ha smesso di scriverla chi ha il coraggio. E si è consegnata a chi ha solo la paura di perdere un pugno di follower. E se sostenere queste è come bestemmiare in chiesa… pazienza. A volte bisogna farlo, se il prete finge che Dio sia cieco…

L'autore

Marco Pirola fu Arturo. Classe 1962, quando l’Inter vinse il suo ottavo scudetto. Giornalista professionista cresciuto a Il Giornale di Montanelli poi approdato su vari lidi di carta e non. Direttore del settimanale L’Esagono prima e di giornali “pirata” poi. Oggi naviga virtualmente nella “tranquillità” (si fa per dire…) dei mari del sud come direttore responsabile de Il Cittadino.