Se c’è una cosa che sembra non cambiare mai, è la magia di una notte d’estate. Quella che unisce l’effervescenza giovanile alla ricerca di “avventure”. Eppure questa estate, ha riservato una novità: una vera e propria notte di furti e danneggiamenti che ha visto protagonisti otto ragazzi italianissimi tra i 14 e i 18 anni. Non esattamente una banda organizzata, ma nemmeno dei disgraziati dilettanti. Piuttosto, un gruppo di “giovani teppisti” improvvisati, residenti tra Monza, Lissone e Muggiò, che decidono di dare sfogo alla noia, al disimpegno e, forse, a una certa percezione di impunità.
Eppure, questo episodio, pur nella sua banalità criminale, ci invita a riflettere su alcuni aspetti sociologici. La gioventù “infranta”, che sembra cercare risposte nel furto e nel vandalismo, non è una novità, ma le motivazioni, quelle sì, sembrano essere più complesse. Sono davvero solo colpevoli di noia e voglia di trasgressione, oppure ci sono altre dinamiche in gioco? Parliamo di una generazione che, purtroppo, troppo spesso è privata di un senso di comunità e di regole condivise, in un contesto che offre poco più di fughe notturne e teppismo come forma di ribellione.
Una domanda su cui riflettere: questi giovani, tra una fuga e l’altra, trovano davvero la loro identità? Oppure sono solo delle pedine in un gioco che non hanno mai imparato a giocare? Sono convinto che la giustizia, in fondo, non ha solo il compito di fermare il reato, ma anche di curare il sistema che lo ha generato. E qui, forse, sarebbe ora di chiedersi se non stiamo perdendo, lentamente, qualcosa di molto più grande di un semplice furto in una yogurteria o in un campetto di calcio.