La storia non è finita (ma la crescita può finire)

I pilastri del modello nato nel settecento sono la base della nuova società di cui siamo figli. Il parere del sociologo Fabrizio Fratus.
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In linea di massima possiamo dire che con la spinta illuminista, la rivoluzione borghese e il colonialismo, è nel settecento che prese il via un modello nuovo per la creazione della ricchezza grazie soprattutto alla nascita delle fabbriche. I pilastri del modello nato nel settecento sono la base della nuova società di cui siamo figli. Il sistema industriale basato sulla produzione di beni materiali in serie ha dominato la società occidentale sino alla fine della seconda guerra mondiale e poco oltre. Nella seconda metà del secolo scorso il progresso tecnologico con lo sviluppo dell’organizzazione, la comunicazione e la scolarizzazione diffusa in un contesto di globalizzazione è andato affermandosi un nuovo modello denominato dai sociologi “post-industriale” e basato sulla produzione di beni immateriali (servizi), dando origine a nuovi sistemi di economia e di lavoro.

La divisione dell’assetto mondiale della società post-industriale si basa su diversi tipi di paesi, a primeggiare sono le nazioni denominate “primo mondo” in cui si producono idee e le si brevettano ed è principalmente la società dei servizi. Poi si trovano stati “emergenti” principalmente facenti parte degli accordi Bric e Civetas e sono da considerare i paesi “fabbrica” della terra. Per finire i popoli che vivono in terre dove l’accumulo di ricchezza è nullo, sono i paesi del “terzo mondo” che sopravvivono svendendo le materie prime (di cui paradossalmente sono i maggiori possessori), la manodopera e con una subordinazione militare nei confronti del primo mondo.

Grazie alla comunicazione, ai mass media, al web e soprattutto all’economia globalizzata, la globalizzazione ha preso il sopravento omologando i modelli di vita e i sistemi politici facendo emergere il pensiero per cui la “storia” fosse finita. Se nel secolo precedente il comunismo distribuiva la ricchezza in parti uguali, aveva però l’incapacità di produrla, mentre il sistema capitalista ha prodotto ricchezza ma senza essere in grado di ridistribuirla. La nostra “storia” procede e nuove sintesi sono in via di sviluppo in un mondo sempre più devastato da guerre e migrazioni; consapevoli che la crescita non è infinita in quanto il mondo è “finito” e globalizzato e con lo sviluppo dei paesi emergenti sempre più rapido, è importante dare consapevolezza e strutturazione a una “decrescita” controllata.

Credere nella crescita e nell’aumento del PIL è stupido e lo è soprattutto per i paesi senza materie prime. I dati economici degli ultimi anni di tutto il continente europeo parlano chiaro: la crescita del lavoro è fittizia e basata solo sulla perdita di diritti come dell’abbassamento dei salari. Grazie alla tecnica oggi è possibile promuovere un modello differente dove le ore lavoro siano minori. Il lavoro sia suddiviso tra lavoratori e disoccupati e assieme ad una nuova concezione basata su comunità e decrescita si arriverebbe a una nuova società improntata non più sulla diseguaglianza e l’esclusione ma sull’inclusione e l’appartenenza alla propria comunità.