Tre morti sul lavoro in Brianza, nel giro di un mese e mezzo (scarso). Numeri e tragedie che non indicano una tendenza, questo è chiaro (gli incidenti sfortunati, purtroppo, sono accaduti, accadono e accadranno anche in futuro), ma che, come sempre, fanno pensare. E parecchio. Soprattutto al fatto che quella per un diritto alla sicurezza di tutti i lavoratori è una battaglia lungi dall’essere vinta. Anche in una Repubblica, la nostra, che sul lavoro dovrebbe essere fondata per Costituzione. Ma, si sa, viviamo in tempi complessi e segnati da quello che, con un’efficacissima analogia, l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, ha recentemente definito “un pollaio di competitività”. Tempi che corrono, insomma. E che non si fermano di certo più di fronte a parole scritte su Carta, nonostante la “C” maiuscola.
Chi non si adegua? Chi pretende di rivendicare diritti sanciti per legge a tutti i costi? Guardato con diffidenza, quasi con riprovazione. Ecco che, allora, non sembrano inverosimili le parole di quei sindacalisti che commentano i numeri di decessi e infortuni evidenziando, tra le altre variabili, il possibile peso del timore del “ricatto” della perdita del posto come quello della precedenza data a fatturato e guadagno rispetto ai “lacciuoli” imposti dalle norme. Norme che, però, in qualche caso, servono a non creare orfani…