L’editoriale del direttore: diritto alla salute e senso civico, quando serve un equilibrio

Chiunque sia entrato in un pronto soccorso avrà inevitabilmente sperimentato i lunghi tempi di attesa che attanagliano spesso queste strutture...
Cristiano Puglisi
Cristiano Puglisi

Chiunque sia entrato in un pronto soccorso, soprattutto se in condizioni non gravi, avrà inevitabilmente sperimentato i lunghi tempi di attesa che attanagliano spesso queste strutture: trafile di ore e ore che, per i più indisciplinati, non di rado si traducono in nervosismo e spiacevoli battibecchi con il personale. C’è un dato, però, che ci deve fare riflettere: secondo l’Agenas, ogni giorno un ingresso su cinque nei “piesse” italiani sarebbe “improprio” (brutto aggettivo da usare, ma che sta a indicare quelle persone che potrebbero non avere bisogno di cure ospedaliere). Le strutture della Brianza confermano, sostanzialmente, queste cifre.

Perché succede? Forse perché stiamo diventando tutti troppo ansiosi? Forse perché, anche per quanto riguarda la nostra salute, come in molti altri ambiti della nostra vita (abituati come ormai siamo all’immediatezza del mondo del web e delle chat), sentiamo sempre di più il bisogno di avere risposte all’istante, anche ricorrendo a servizi per natura destinati a privilegiare le situazioni più gravi? Certo, va detto che questo non esime chi governa la sanità dal risolvere i problemi più impellenti, su tutti quello della mancanza di medici. Ma forse anche un cambiamento culturale da parte dell’utenza, da sostenere anche con campagne di comunicazione istituzionale, non guasterebbe.