Dalla tastiera alla penna. Cronaca di un ravvedimento operoso. Succede che in politica, a volte, la passione prenda la mano. Altre volte prende direttamente la tastiera. È il caso di un iscritto all’ Anpi, che in un impeto di furore civico ha pensato bene di insultare pubblicamente un assessore di destra. Con toni così accesi che neanche un talk show del lunedì sera. L’attacco? Violento. Diretto. Una bordata digitale degna di un account fake in pieno complotto.
Ma c’è un piccolo dettaglio: l’assessore, oltre a non essere proprio una sprovveduta, ha anche un ottimo avvocato. E quindi, dopo qualche consiglio legale, ecco che all’orizzonte spunta la parola magica: querela. Panico. Sudore. Retromarcia per evitare guai peggiori. È lì che, come nei migliori romanzi, avviene la svolta: il nostro protagonista, fino a pochi mesi prima lanciato come un treno contro l’arroganza del potere, impugna la penna (stavolta vera) e butta giù una lettera di scuse. Educata, rispettosa, quasi commossa. Un piccolo capolavoro di diplomazia post-rissa.
Nel testo che ormai circola più dei volantini del Pd sotto elezioni, si leggono frasi come “non era mia intenzione offendere”, “parole uscite male”, “massimo rispetto istituzionale”. Sembra quasi scritta da un altro. E in effetti… un po’ lo è. Perché tra l’insulto e la scusa si è infilato quel classico passaggio noto come “ho parlato col mio avvocato”. Ora, tutto è rientrato. L’assessore accetta le scuse, il querelabile torna a postare gattini e citazioni e il mondo può tirare un sospiro di sollievo. Ma la morale resta: la tastiera è un’arma potente. Ma la lettera con “Gentile Assessore” è l’antidoto più rapido per evitare una citazione… non su Facebook, ma in Tribunale