Poiché il mio editoriale della scorsa settimana ha suscitato polemiche strumentali, sollevate in qualche caso facendo leva sulla scia dell’emotività per il brutale assassinio di Giulia Cecchettin, ritengo opportuno non solo riaffermare ma integrare ulteriormente quanto scritto.
No, non tutti gli uomini sono potenziali assassini e no, certi omicidi non sono figli, come stiamo leggendo in questi giorni, del “patriarcato” o della “mascolinità tossica“, ma della cultura (di matrice progressista) della “emancipazione” dai “valori arcaici” e, forse, dai valori tout court.
Una cultura che ha spalancato la strada al consumo e al possesso di beni (e di persone) quale dimensione unica dell’esistenza, accompagnata dal suo frutto avvelenato: il narcisismo egolatrico, vera causa di tante tragedie.
La retorica del femminismo radicale, purtroppo, tende invece a puntare il dito contro la figura del maschio in quanto tale. Questa folle e ridicola narrazione, lo ripeto senza problemi, da minoritaria è oggi divenuta prevalente, con conseguenze culturali gravissime: leggo sui social post di uomini che chiedono scusa per l’efferato delitto commesso da Filippo Turetta. Lo trovo assurdo: le responsabilità di ogni azione, in uno Stato di diritto, appartengono al singolo e non (per fortuna) a intere categorie (magari da rieducare, come nei sogni bagnati di qualche fanatico).