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K-Flex: «Ho assunto un condannato come responsabile della sicurezza»

Luigi Celeste, 31 anni, dal carcere a responsabile informatico dell’azienda del Vimercatese.
Da sinistra Marta Spinelli, Luigi Celeste e Eugenio Cicero alla K-Flex
Da sinistra Marta Spinelli, Luigi Celeste e Eugenio Cicero alla K-Flex

Oggi quella “vendetta” tatuata sul collo è stata consumata a freddo, col suo riscatto verso il mondo. Luigi Celeste può guardare al futuro senza il bisogno di voltarsi, nonostante il fardello di un trascorso nero, e questo grazie a quella seconda possibilità che sembra una frase fatta, ma qui ha la carne e la storia di persone e scelte precise.

Siamo a Roncello, nel Vimercatese dove Luigi oggi lavora come responsabile della sicurezza informatica di un progetto globale della K-Flex SpA. Nata nel 1989, la multinazionale italiana produce e commercializza prodotti isolanti in gomma espansa per il mercato dell’isolamento termico, acustico e in generale del risparmio energetico. Settori in cui si gioca la leadership mondiale. Nata come un’impresa di medio-piccole dimensioni, oggi conta undici siti produttivi, diversi uffici commerciali e magazzini in tutto il mondo per 1.300 dipendenti.

La strana proposta

Nel novembre 2014 matura l’esigenza di centralizzare informaticamente le diverse sedi: i vertici vogliono creare un hardware unico in Italia e un lavoro da remoto nel resto del mondo, in modo da poter velocizzare i processi e avere sotto controllo tutto l’iter produttivo, le giacenze e le necessità. Progetto ambizioso che inizialmente unisce Italia, Spagna e Polonia ma che mira a spingersi verso la Russia e oltre, verso l’India. «Il dottor Eugenio Cicero, come Direttore dei sistemi informativi della K-Flex, mi ha fatto richiesta di avere risorse da destinare a questo tipo di progetto». Comincia così l’incontro con Marta Spinelli, responsabile del personale dell’azienda nonché membro del consiglio di amministrazione, e parte attiva di questa storia di uomini, lavoro e speranza.

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«Avevamo bisogno di un sistemista, allora ho alzato la cornetta e parlato con Francesco Benvenuto, responsabile delle Relazioni istituzionali di Cisco Italia, fornendogli il profilo che stavamo cercando e spingendo affinché la ricerca fosse fatta urgentemente». La chiamata arriva qualche giorno dopo, nel corso di una riunione cui la dottoressa Spinelli stava partecipando, e la proposta non è di quelle consuete. «Mi disse di non avere profili da propormi provenienti dai soliti bacini di ricerca, ma che poteva consigliarmi una persona molto preparata e molto affidabile, che però proveniva da un contesto particolare». È così, che fa il suo ingresso sulla scena Luigi Celeste, 31 anni, appassionato d’informatica e con un curriculum con diverse certificazioni di eccellenza ottenute durante gli anni di reclusione presso il carcere di Bollate. All’interno dell’istituto penitenziario, infatti, la Cooperativa sociale Universo, ufficialmente parte del circuito internazionale Cisco Networking Academy, organizza da diversi anni corsi di formazione nell’ambito Ict e Luigi ha fatto di tutto per potersi formare lì. Un vissuto da skinhead tra risse e arresti domiciliari e un padre prepotente, pregiudicato, che minacciava notte e giorno la madre e il fratello. Poi quella maledetta sera del 20 febbraio 2008, quando all’ennesima alzata di mani lui risponde per difendere una famiglia indifesa e liberarsi da un’ossessione, una paura costante. Parricidio. Arriva la reclusione a San Vittore e a Opera, poi il trasferimento a Bollate dove comincia a formarsi, studiare, provare a coltivare un sogno.

Angeli, pc e colpi di fulmine

«Volevo partecipare a questi corsi, ne avevo sentito parlare dagli altri detenuti – racconta Luigi -. Ho incontrato Lorenzo Lento, mio formatore e poi datore di lavoro, che per me è stato un angelo. Non sapevo dove mi avrebbe portato questo percorso: quando sei recluso non hai molte possibilità di capire cosa succede all’esterno nel mondo del lavoro, ma non ho voluto perdermi d’animo». Così è arrivata la prima certificazione, poi un’altra ancora. «Sono percorsi impegnativi che vale la pena di affrontare, ma soprattutto bisogna avere molta forza di volontà, fare scelte radicali sul proprio futuro, vedersi in un modo diverso e crederci. È questa la scelta fondamentale e che fa la differenza perché, se sei bravo, puoi avere la storia che vuoi, ma fai la differenza. Sempre che ci siano aziende disposte a darti una seconda possibilità, perché studiando e impegnandoti tu hai fatto il tuo, ma il resto non puoi deciderlo». L’incontro con K-Flex è stato provvidenziale per entrambe le parti. Il colloquio tra la dottoressa Spinelli e Luigi Celeste è stato quasi una sorta di “colpo di fulmine professionale”, avvenuto in un modo fluido e naturale, come tutte le cose che poi funzionano davvero.

«Non nego che prima di conoscerlo qualche remora l’avevo – racconta Spinelli -. Era la prima volta che ci capitava una cosa del genere: avere davanti un detenuto che stava ancora scontando la sua pena per un reato molto grave. Eppure mi sono fidata del giudizio di Francesco Benvenuto e del mio istinto, e insieme al dottor Cicero abbiamo voluto provare a darci una possibilità. Lo abbiamo considerato come chiunque altro, e sottoposto a colloquio. Appena visto Luigi abbiamo smesso di pensare al suo passato, ai suoi tatuaggi. È un ragazzo sempre con il sorriso, ha un’aria da buono e ci ha dato subito l’impressione di una persona affidabile. Ci siamo detti: “proviamoci”».

Da quel giorno è passato un anno e mezzo, ottimi risultati e un progetto che oggi guarda all’India. Luigi ha finito di scontare la sua pena a febbraio di quest’anno, ha aperto la sua partita Iva e cominciato a lavorare come libero professionista. Libero, in tutti i sensi.

Una storia di libertà

In fondo questa, dentro il paradosso della condanna,è una storia di libertà. Da un lato quella di Luigi, un uomo che vuole dimostrare, a se stesso e al mondo, di poter davvero cambiare. Dall’altro, la libertà di un’azienda di andare oltre i pregiudizi e di scommettere su una figura professionale con un profilo azzardato, ma vincente. Dall’incontro di queste libertà è nata una storia di stima e fiducia, una scommessa vinta. Un esempio che Marta Spinelli spera che altre aziende seguiranno: «Il fine ultimo di un istituto penitenziario dovrebbe essere quello del reinserimento nella società di individui che hanno sbagliato e per questo pagato la loro pena. Ci sono persone come Luigi, che hanno avuto un background diverso e hanno agito contro la legge, ma sono persone che devono avere tutte le possibilità di poter essere “recuperate”, di imboccare il loro cammino e avere la possibilità di rifarsi la vita soprattutto quando ce l’hanno messa tutta per formarsi e trovare la loro strada. Nel nostro caso siamo più che soddisfatti e sicuri che il rapporto con Luigi durerà nel tempo». Sul gigantesco avambraccio sinistro di Luigi, che è vicecampione italiano di weight-lifting, è tatuato un paio di mani giunte in preghiera e incatenate. «Non l’ho scelto io», c’è scritto. Oggi non è più così: la vera vendetta è una scelta libera, è desiderare «piano piano, una famiglia mia: quello che mi è mancato di più».n