Due miliardi e 300mila euro, al netto dell’Irpef nazionale e delle addizionali regionali e comunali: è quanto manca nelle tasche dei dipendenti nei primi cinque mesi dell’anno in corso che, a causa del Covid-19, sono stati posti in cassa integrazione. Alla Lombardia il primato della maggior perdita delle retribuzioni nette, pari al 22,2% del totale nazionale (504 milioni di euro), seguita dal Lazio dove i cassaintegrati perdono oltre 299 milioni di euro netti, dal Veneto (205 milioni di euro netti) e dalla Campania (189 milioni di euro netti). È quanto emerge da un’analisi condotta dalla Uil-Servizio lavoro, coesione e territorio che ha elaborato i dati Inps delle ore autorizzate di integrazione salariale su cui sono state condotte le simulazioni su una retribuzione lorda annua di 20.980 euro (retribuzione media del settore privato).
Ma quanto incide questa perdita sulle singole retribuzioni mensili dei dipendenti? «Tra riduzione dello stipendio e mancati ratei 13° e 14° – spiega Ivana Veronese, segretaria confederale Uil – in cinque mesi le buste paga si sono alleggerite mediamente del 19%. A fronte di circa 1,4 miliardi di ore di cassa integrazione autorizzate nei primi cinque mesi del 2021, i beneficiari hanno perso, mediamente fino a qui, 3.185 euro netti. Nella riforma più complessiva degli ammortizzatori sociali che il Governo si appresta a varare – sottolinea Veronese – oltre che rendere universale lo strumento e legarlo a politiche attive, si pone la necessità della revisione dei tetti massimi del sussidio delle integrazioni salariali e la loro rivalutazione, che dovrebbe essere ancorata agli aumenti contrattuali e non soltanto al tasso di inflazione annua».