Vimercate: «Ho creato io l’abito della Santanchè, ma non la pelliccia»

Diego Dossola, lo stilista vimercatese parla dell’abito che ha realizzato per Daniela Santanchè, che lo ha indossato alla prima della Scala il giorno di Sant’Ambrogio. Ma c’era un particolare da cui prende le distanze. L’intervista
Milano - Alessandro Sallusti e Daniela Santanchè alla prima della Scala
Milano – Alessandro Sallusti e Daniela Santanchè alla prima della Scala

Diego Dossola, lo stilista vimercatese parla dell’abito che ha realizzato per Daniela Santanchè, che lo ha indossato alla prima della Scala il giorno di Sant’Ambrogio. Ma c’era un particolare da cui prende le distanze.

L’outfit che Daniela Santanchè ha sfoggiato alla prima della Scala il giorno di Sant’Ambrogio è stato per giorni sulla bocca di tutti. E mentre la questione acquisiva eco nazionale tra commenti, critiche, fotomontaggi e battute, si è scoperto che gli abiti indossati dall’onorevole sono il frutto della creatività di uno stilista cresciuto a Vimercate. Diego Dossola, 40enne che dai 6 ai 20 anni ha risieduto a Oreno (dove vive ancora sua madre). Fondatore della Boutique Ultrachic – assieme alla socia Viola Baragiola – con un negozio in via Meravigli a Milano.

L’abbiamo contattato per chiedergli che ne pensava della tanto discussa scelta d’abito.

«Avendolo fatto io, chiaramente l’abito mi piace. Ecco magari il gilet in pelliccia (che non ha acquistato da noi) non l’avrei messo. O quantomeno l’avrei messo con un colore a contrasto e non tono su tono. Ma detto questo, il look era suo ed è bene che si sia vestita come desiderava».

Crede fosse adatto per l’occasione?

«Lei non l’ho trovata fuori luogo o inappropriata. Certamente non più di altre donne che sono passate in secondo piano quella sera. La signora è molto appariscente e quello che sicuramente voleva era un look di basso profilo nella costruzione (una gonna e una camicia) ma non nel colore».

Come è andato l’acquisto?

«La signora è venuta in boutique cercando questo modello di gonna e senza dirmi, giustamente, in quale occasione l’avrebbe usata. A dire la verità l’avrebbe voluta blu, ma io le ho consigliato il verde perché secondo me le stava meglio (e ne sono tuttora convinto). E lei si è lasciata consigliare».

Era la prima volta che la Santanchè veniva in negozio?

«No. Ci ha scoperti poco dopo l’inaugurazione, che è stata a fine giugno, e ha comprato una gonna identica a quella in questione, ma color giallo fluo. L’aveva indossata per la sua festa di compleanno. Queste gonne sono andate talmente bene quest’estate, che le clienti ce le hanno chieste anche per l’inverno. E solo per il negozio ne abbiamo create nuove versioni proponendole con la camicia da smoking e il papillon».

Che ne pensa di tutte le critiche mosse al vestito?

«Siamo un marchio piccolo ed è la prima volta che ci succede una cosa di questo impatto. La prima reazione, leggendo commenti di sconosciuti che danno così tanto addosso al tuo lavoro, è quella di arrabbiarsi. Ma in seconda battuta ho trovato molto ironiche tutte le versioni del vestito (quelle create con fotomontaggi, nda). Mi hanno divertito molto; ho sentito anche la Santanchè e anche lei ne è rimasta divertita. Per quanto riguarda la critica stilistica, come si dice, quando gioca la nazionale siamo tutti allenatori…Ognuno dà il proprio parere e va bene così».

Avete o avete avuto altri clienti famosi?

«La Pausini ha la stessa gonna della Santanchè, ma di un altro colore. Ci è capitato di vestire Fergie dei Black Eyed Peas, Barbara d’Urso, Irene Tarantelli. E alcune blogger».

Vedere un vostro vestito alla prima della Scala, che effetto fa?

«Molto bello. Come dicevo, non sapevo che la signora l’avrebbe indossato in questa occasione. Mi ha chiamato un amico per dirmi del putiferio partito sui social già 5 minuti dopo l’ingresso a teatro. Il fatto che sia stato molto criticato, inoltre, per noi è comunque una grande pubblicità. Poi sta alla volontà soggettiva scoprire se facciamo solo outfit che qualcuno definisce “orrendi” o se facciamo anche altro (e c’è molto da vedere)».

Perché “Ultrachic”?

«Il nome nasce dal fatto che nel 2006, quando abbiamo creato la società, vendevamo esclusivamente 3 sciarpe in cachemire con i colori delle squadre di calcio. Abbiamo avuto un buon successo e ci siamo voluti trasformare in una collezione a tutti gli effetti. Il nostro è un marchio di rottura, con un’immagine e un’identità molto forte. I nostri prodotti, oltre ad essere in negozi multimarca, da qualche mese si trovano anche nel nostro primo negozio monomarca. Quello di Milano, appunto».