Il problema della legge Delrio sopravvissuta inaspettatamente a se stessa è più complicato di quanto sembri: perché ha spogliato le Province di quasi tutte le risorse e non ha distribuito correttamente le competenze; perché ha tolto loro in ogni caso il personale per fare i suoi compiti; perché ha innescato un processo (irreversibile?) che però è stato abbandonato nel limbo dopo la bocciatura della riforma costituzionale. Ma non basta, a dire il vero: lo stop alla riforma Boschi-Renzi lascia in vita la Delrio che non prevedeva di arrivare fin qui. E succede allora che l’8 gennaio i consiglieri comunali e i sindaci torneranno a eleggere il consiglio provinciale (non i cittadini, votano solo consiglieri e sindaci) ma non il presidente, che resta teoricamente in carica fino a ottobre 2018 (cioè quattro anni dopo la sua elezione). Sempre che Gigi Ponti – sindaco di Cesano Maderno e attuale presidente MB – decida di ricandidarsi e sempre che venga rieletto: altrimenti decadrebbe e a ottobre 2017 (sindaci e consiglieri) dovrebbe tornare a votare per la nuova presidenza.
Abbastanza complicato? Sì, ma a questo si aggiunge il metodo di elezione previsto dalla Delrio per il consiglio provinciale. Primo: votano solo sindaci e consiglieri comunali, si diceva, ma il loro voto non è uguale, perché scatta il voto ponderato in cui i Comuni più grossi valgono più di quelli piccoli. E così – con indice di ponderazione 456 – il voto dei politici monzesi vale quasi venti volte quello dei politici di Aicurzio (indice 25). Detto altrimenti: il voto di Scanagatti vale 10, quello del primo cittadino aicurziese Gianmarino Colnago vale 0,5.
Come nel 2014 gli schieramenti sono quattro, chiamati a spartirsi 862 preferenze: “Brianzaretecomune”, “Brianzacivica”, “Insieme per la Brianza” e “Lega Nord Padania”. La prima raccoglie gli amministratori di centrosinistra, la seconda raccoglie candidati nel mondo delle liste civiche svincolate dai partiti tradizionali, la terza è l’area del centrodestra, la quarta è quello che dice di essere.
L’ultima (e prima volta) è andata così: Pietro Luigi Ponti (Brianzaretecomune), sindaco di Cesano, ha ottenuto il 63,2% del voti contro il 23,2% di Riccardo Borgonovo, sindaco di Concorezzo (Insieme per la Brianza) e il 13,6% di Pietro Malegori, leghista, sindaco di Biassono. Brianzacivica non aveva presentato candidature alla presidenza. Allora il voto era piuttosto scontato: con il Partito democratico con il vento in poppa del neonato governo Renzi, che aveva premiato il centrosinistra nei Comuni che avevano votato pochi mesi prima, Ponti era stato eletto con assoluta certezza.
Le cose sono cambiate, da allora, ma non così tanto da garantire un cambio di rotta. Nel 2015 ha votato solo Seregno, che ha confermato la coalizione di maggioranza di centrodestra ma non ha quindi spostato pesi politici. Quest’anno hanno votato Arcore, Biassono, Varedo, Vedano, Verano e Desio confermando le amministrazioni uscenti (o in continuità con i predecessori) e hanno cambiato pelle politica Vimercate (passata dal Pd a M5S, partito che però non è “sensibile” alle ex province) e Limbiate passata dal Pd a Forza Italia. Solo in quest’ultimo caso si tratta quindi di un potenziale spostamento di voti, mentre da Vimercate potrebbe derivare soltanto un buco nelle casse del Patito democratico, per quanto in entrambi i casi si tratti di Comuni con indice di ponderazione alto.
Il voto di domenica 8 gennaio sarà soprattutto un termometro politico: se non sarà in grado di rendere la Provincia più forte (o utile), spiegherà almeno se e quanto è cambiato il vento.