Mi dicono eroe, ma gli eroi sono altri: in ricordo di Falcone e Borsellino

Nicolò Cafagna (Diverso da chi?) e il 23 maggio, Giornata delle legalità nella data della strage di Capaci: chi è il vero eroe? Chiede. Non io, ma chi mette la sua vita nel destino dell’interesse collettivo. Come i giudici Falcone e Borsellino.
I giudici Falcone e Borsellino
I giudici Falcone e Borsellino

L’eroe… l’eroe. Ma poi, che cos’è un eroe? Essendo un concetto vasto (un saluto agli amici abruzzesi) lo declineremo nella versione moderna (e non posso non ringraziare il mio vaccino): l’eroe è colui che compie un atto di coraggio che possa comportare il consapevole sacrificio di se stesso, allo scopo di proteggere il bene altrui o comune. Nella puntata odierna si disquisirà di falsi eroi e di veri eroi.

Di certo il lettore più attento, ma anche quello distratto si chiederà: cosa mai c’entrerà il Cafagna con l’argomento “eroe”? Niente, infatti: a dir la verità, me lo chiedo io medesimo allorquando Il bipede attivo mi definisce tale per come affronto la vita rispetto alle difficoltà che la francesina (la distrofia di Duchenne) mi pone lungo il cammino, ehm percorso. Quando odo tali parole mi trovo a disagio poiché mi sento usurpatore del titolo morale umano più prestigioso – per l’appunto l’eroe – e ingiusto verso chi ha sacrificato eroicamente la propria vita. Del suddetto titolo attualmente non posso forgiarmi, a meno che non compia un atto tale che lo giustifichi. Detto ciò, una persona umile non affermerebbe comunque di aver commesso un atto eroico, ma non essendo umile vi assicuro che non l’ho commesso: c’è di buono che sono sincero, quando non mento!

LEGGI “Diverso da chi?”, il libro di Nicolò Cafagna

Riprendendo il bandolo della matassa del discorso, tengo a precisare che in quello che faccio con la mia francesina non vedo eroismo alcuno, non mi sacrifico per gli altri o per una particolare causa, se non la mia. Dunque è una forma di egoismo: lecito, per l’amor della terra, ma rivolto a me stesso, al mio bene, alla mia vita. Potremmo definirlo egoismo positivo, nel senso che non è frutto di egocentrismo o di avere a cuore solo il proprio io, ma dalla necessità e dal bisogno di vivere e non di sopravvivere. Se poi viene apprezzato o preso d’esempio da qualcuno, chi sono io per giudicare? Anzi, fate, fate, io di certo non mi offendo. L’apprezzamento nei confronti di chiunque però non va confuso con l’eroismo, piuttosto va mano nella mano con la stima. Ecco a voi il falso eroe.

La definizione dell’eroe – quello vero – sembra un vestito cucito su misura per Mr. Falcone – sì, Mr. così come lo chiamavano gli agenti dell’Fbi (che salutiamo, come da prassi). Tutt’ora ricordo perfettamente la strage di Capaci: l’autostrada sventrata, le automobili distrutte e quelle immagini apocalittiche che mi hanno decisamente segnato. Era il 23 maggio 1992 (la data diventata la Giornata della legalità) ed ero in procinto di compiere 10 anni. Ma ancor più indelebili nella mia memoria sono le immagini dei funerali di Mr. Falcone, della moglie e degli uomini che componevano la scorta, di tutte quelle persone che inveivano contro lo Stato e che osannavano la figura del giudice scomparso. E poi queste parole: «Io, vedova dell’agente Vito Schifani, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato – lo Stato – chiedo che venga fatta giustizia, adesso. Agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro… dico vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio. Se avete il coraggio di cambiare, ma loro non cambiano, non cambiano!». Questo è l’intervento di Rosaria Costa, più volte interrotto dal pianto e che ancora oggi riecheggia nella mia testa.

Tornando alla definizione di cui sopra convenite con me che combattere Cosa Nostra, negli anni ’80, con un metodo innovativo, efficace e, se vogliamo, realisticamente visionario è assai da coraggiosi? Mr. Falcone capì che le mafie andavano considerate come grandi multinazionali, che diversificano il “prodotto”. E a cosa ambiscono le multinazionali? Ai dané. Quindi è d’uopo seguire i flussi finanziari in ogni dove: ecco a voi il metodo Falcone, adottato da 200 paesi nel mondo. Oltre al coraggio, con il suo metodo Falcone ha decuplicato il rischio e la consapevolezza di un possibile “attentato fatale”, anche alla luce di quanto accaduto ai colleghi che lo avevano preceduto. Lo scopo: combattere le mafie per il bene della comunità, garantendo la legalità, laddove essa è maggiormente minacciata. Perché dove la legalità trova terreno fertile, cresce più facilmente l’equità, la giustizia sociale, si sviluppa una migliore distribuzione della ricchezza: in tre parole, il bene comune. Ditemi voi se questo non è un eroe?

Per giunta era ostacolato dall’interno e questo non fa che renderlo ancor più eroico, alla stregua del collega Paolo Borsellino, che forse sul rapporto Stato-mafia ha saputo qualcosa di più e che sicuramente dopo la scomparsa di Falcone sapeva di essere il prossimo: e questo non è un eroe?