Fatture false per 365 milioni gestite dalla ‘ndrangheta, Brianza coinvolta

Ordinanza di misura cautelare per 12 persone accusate di associazione di stampo mafioso per commettere reati di natura tributaria

Fatture false per operazioni inesistenti, di nuovo. Non passa giorno che quello che pare ormai un sistema collaudato per frodare il Fisco non sia al centro di una operazione di polizia. E Monza e Brianza sono (ancora una volta) coinvolte. In questo caso l’indagine è stata diretta dalla Procura Distrettuale della Repubblica di Brescia e il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Brescia e il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata hanno dato esecuzione giovedì 13 febbraio a un’ordinanza di misura cautelare personale nei confronti di 12 persone. E questa volta c’entra la ‘ndrangheta: si parla di associazione per delinquere di stampo mafioso.

Oltre che in Brianza l’attività delle Fiamme gialle ha riguardato anche le province di Brescia, Torino, Verona, Reggio Emilia, Modena, Cremona, Milano, Mantova, Varese, Catania e Reggio Calabria. E anche Paesi esteri come Spagna e Svizzera. Impiegati circa 300 militari che si sono avvalsi del supporto dell’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione giudiziaria, del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia nell’ambito del progetto I-Can (Interpol Cooperation Against ‘Ndrangheta), e delle forze di polizia spagnole e svizzere.

Fatture false e ‘ndrangheta, l’indagine della Guardia di finanza di Brescia

Circa 70 le società e i soggetti coinvolti destinatari di un sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, anche per equivalente, per un importo complessivo pari a oltre 8.5 milioni di euro, considerato il provento delle presunte condotte delittuose investigate.

L’indagine parte da lontano, da giugno del 2019, dalle attività in territorio bresciano di un’associazione per delinquere di matrice ‘ndranghetista, originaria della provincia di Reggio Calabria, “al cui vertice c’era un soggetto già condannato per associazione di stampo mafioso dal Tribunale di Reggio Calabria”. Il sodalizio si sarebbe “fatto strada” con l’intimidazione, sempre secondo le indagini avrebbe: “prima danneggiato, poi sopraffatto e infine estromesso dal giro d’affari connesso alle frodi fiscali” un precedente sodalizio criminale, operativo dal 2017 nel distretto industriale del nord est.

La ‘ndrangheta ha preso il controllo del business con le intimidazioni

L’assoggettamento del sodalizio rivale sarebbe avvenuto attraverso una rapina simulata nei confronti di un corriere che aveva ritirato denaro contante per circa 600.000 euro, “monetizzazione di fatture per operazioni inesistenti” da cinesi della chinatown milanese. E poi sottraendo credenziali di conti correnti accesi in Bulgaria dove sarebbero stati dirottati i fondi delle medesime fatture e infine con intimidazioni, mostrando armi da fuoco così da “imporre di trasferire l’intero “pacchetto” di società precedentemente gestite e di assoggettarsi alla neocostituita associazione di stampo mafioso”. L’attività ha potuto contare su intercettazioni, accertamenti bancari e sequestri di denaro contante per circa 450.000 euro, destinato alle cosche reggine.

Una volta compiuto l’assoggettamento l’associazione di stampo mafioso si sarebbe avvalsa di oltre 30 società tra cartiere estere (in Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Svizzera e Croazia) e filtro italiane che, nel periodo di indagine, avrebbero emesso fatture per operazioni inesistenti nel settore del commercio delle materie plastiche per oltre 365 milioni di euro in favore di imprenditori compiacenti, localizzati prevalentemente nelle province di Brescia e Mantova.

Effettuate “molteplici perquisizioni in Italia e all’estero”, con il supporto tecnico-operativo dello S.C.I.C.O. e tre unità cinofile antidroga e “cash dog” per la ricerca di sostanze stupefacenti e contanti, con l’impiego di “baschi verdi”, militari con specializzazione A.T.P.I. “Anti Terrorismo – Pronto Impiego”, e di un elicottero della Finanza.