Ilaria Salis: una giustizia a giorni alterni, l’Europa riscopre i democristiani…

Il direttore responsabile Marco Pirola sul caso Ilaria Salis: ovvero sul voto dei Popolari europei.
Ilaria Salis
Ilaria Salis

C’è qualcosa di straordinariamente ipocrita e quindi profondamente europeo nel voto con cui la Commissione del Parlamento ha salvato la monzese Ilaria Salis dalla revoca dell’immunità e quindi dalla galera. E no, non è Ilaria Salis il punto. Lei fa semplicemente quello che farebbe chiunque e non raccontiamoci balle in merito… Cerca di non farsi sbattere in galera da un Paese dove l’indipendenza della magistratura è un vago ricordo tra un gulash e una minaccia alla stampa. Giusto? Legittimo? Sacrosanto.

Ma il colpo di teatro non è nel gesto della Salis. È nel balletto dei Popolari europei. I democristiani del terzo millennio. Quelli che passano le giornate a tuonare contro i facinorosi rossi, gli anarchici col passamontagna, i comunisti sotto il letto, salvo poi tenere il microfono e spegnere le luci quando uno di loro ha bisogno di un’uscita secondaria. Sette i popolari in Commissione. Due voti hanno fatto la differenza. Nessuno si firma, perché si vota a scrutinio segreto. Del resto la storia insegna che l’ipocrisia ha sempre bisogno del buio. E così, mentre i Verdi brindano, la Sinistra inneggia e AVS esulta, in casa Ppe si mangiano le unghie (o fanno finta). Non che Matteo Salvini abbia torto. Per una volta. Quando dice “chi sbaglia non paga”, forse si riferisce al voto dei Popolari. Il problema è che loro, da mesi, fanno la morale a chiunque osi difendere la Salis, definendola una pericolosa iconcina della sinistra ideologica, e poi, voilà, votano in modo tale da garantirle l’immunità tenendola lontano dagli “schiavettoni” (le manette) di Viktor Orbán. Uno scivolone casuale? Un disguido tecnico dovuto alla pioggia settembrina? O un modo molto elegante per piacere a tutti i politicanti simili e scontentare solo la coerenza di tutti noi? In attesa del voto in seduta plenaria prevista per il 7 ottobre, il Parlamento europeo dimostra ancora una volta che la coerenza non è un valore democratico, è un rischio politico. E quindi da evitare. Ora l’Ungheria minaccia ricorsi, le destre gridano al tradimento e i Popolari? Silenzio, naturalmente. Anche perché la miglior strategia per non scontentare Orbán è fingere di non sapere dove, chi, cosa e possibilmente quando si è votato. Nel frattempo, la narrazione cambia. Non si tratta più di giustizia o di diritto, ma di teatro. Di farsa. E nel grande palcoscenico europeo, i Popolari hanno scelto di fare gli spettatori complici, applaudendo con una mano e fischiando con l’altra. Ma se questo è il “centro moderato”, allora forse il vero estremismo è pensare che l’onestà intellettuale abbia ancora cittadinanza a Bruxelles e dintorni.

L'autore

Marco Pirola fu Arturo. Classe 1962, quando l’Inter vinse il suo ottavo scudetto. Giornalista professionista cresciuto a Il Giornale di Montanelli poi approdato su vari lidi di carta e non. Direttore del settimanale L’Esagono prima e di giornali “pirata” poi. Oggi naviga virtualmente nella “tranquillità” (si fa per dire…) dei mari del sud come direttore responsabile de Il Cittadino.