Vimercate-Concorezzo – Era la mattina del 17 ottobre 1995. A Concorezzo, poco dopo le sette, la studentessa diciannovenne Silvia Limonta era in attesa dell’autobus che l’avrebbe portata a Milano, dove frequentava il primo anno di università. Convinta con un pretesto a salire nell’auto di uno sconosciuto, fu condotta in una stradina isolata e fu aggredita. La ragazza tentò di difendersi e di fuggire, ma venne raggiunta, buttata a terra, rapinata, violentata e strangolata con un laccio. Lo sconosciuto era Alberto Motta, operaio ventiquattrenne pregiudicato di Vimercate, poi reo confesso. Sposato, con due figli piccoli, problemi di droga e una sfilza di addebiti per reati a sfondo sessuale che sarebbe stata compilata nel giro di pochi giorni dal suo arresto, avvenuto in meno di quarantott’ore dall’omicidio. Se non fosse stato fermato, avrebbe ucciso ancora, fu la convinzione degli inquirenti.
La ricostruzione – È una delle storie che Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi raccontano e provano a decifrare nel saggio “Sex Crimes, storie di passioni morbose e di efferati delitti”, da pochi giorni in libreria. Nel 1996 Motta fu condannato all’ergastolo in primo grado dalla Corte d’Assise di Monza, per l’assassinio della giovane concorezzese, per altri quattro tentati omicidi, per stupri, violenze e rapine. Tutti reati commessi tra il dicembre del 1994 e l’ottobre del 1995 all’interno dei ristretti confini del Vimercatese. La Corte d’Appello nel 2000 riconobbe l’attenuante della parziale infermità mentale e ridusse la pena a 25 anni, con altri tre anni aggiunti di detenzione in ospedale psichiatrico. La carcerazione finirà nel 2018, ma già dal 2004 Motta usufruisce di permessi premio per buona condotta.
La serialità – A incastrare l’uomo, nel 1995, furono la dinamica pressoché identica ripetuta negli agguati, sempre più frequenti, e la segnalazione dei numeri di targa dell’auto che Motta utilizzava per abbordare le vittime e portare a compimento la violenza. Furono proprio alcune vittime ad avere la forza e la prontezza di registrare questi numeri e di corredare le denunce con questi dati fondamentali. Da qui i carabinieri risalirono all’uomo che confessò subito l’omicidio della ragazza e alcune altre aggressioni, poi rimpinguate dai raffronti degli inquirenti. Nell’ottobre del 1995 Motta era già noto alle forze dell’ordine. Nel 1992 era finito nei guai per l’aggressione di una ragazza nel parco Sottocasa. In pieno giorno, forbici alla gola, la rapinò e tentò di violentarla. Fu arrestato e condannato a quattro anni, pena ridotta in appello con la libertà e l’affidamento ai servizi sociali. Qualche mese prima, l’uomo era stato arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti.
L’escalation – Poi fu un’escalation di violenza. La tecnica era sempre la stessa. Motta avvicinava ragazze e giovani donne, in più occasioni alla fermata dell’autobus, usando modi gentili, convincendole a salire in auto. Poi scattava la ferocia. In quattro casi, le vittime rimasero a terra prive di sensi, dopo un tentativo di strangolamento. E forse proprio l’essere svenute le salvò da morte certa. «Non so spiegarlo -dirà ai medici, come riferiscono Lucarelli e Picozzi- Io vedo una ragazza alla fermata del pullman. È una tentazione, che devo attirare la sua attenzione. Io sento una forza dentro che mi dice di attaccare quella ragazza, di avvicinarla, di caricarla in macchina. Partivo con un gran mal di testa. Avevo però dentro di me una carica, una grande forza. Non c’era più Alberto Motta». I luoghi dei reiterati reati addebitati all’uomo sono Carnate, Vimercate, Usmate Velate, Bellusco, ancora Concorezzo, Arcore, solo due giorni prima dell’omicidio, quando una giovane riesce a sfuggire all’aggressione e trascrive per intero la sua targa dell’auto di Motta sbagliando una sola cifra.
Anna Prada