Monza – Era il 1962. Il Brasile aveva appena vinto il campionato mondiale di calcio. Adriano Celentano cantava «Pregherò». Al cinema spopolava «Agente 007, licenza di uccidere». Le case erano arredati a toni pastello, con bassi frigoriferi con grandi maniglie, piccoli televisori con antenne troppo lunghe e telefoni grandi come citofoni. Erano gli anni in cui tutto sembrava possibile, anche se da lì a breve la storia ne avrebbe insegnate tante. Erano gli anni in cui qualcuno poteva ancora permettersi di inseguire un sogno. Ed il sogno in casa Alfa Romeo aveva il nome di una donna: Giulia. La tanto attesa erede della Giulietta fa il suo debutto in un giorno di sole – forse grazie al suo nome, «sacra a Giove» – nell’autodromo di Monza: il presidente Alfa Romeo, Giuseppe Luraghi, presenta il suo piccolo grande gioiello con tutto l’orgoglio di un padre. Il 27 giugno 1962 fa la sua comparsa sulla pista dell’Autodromo di Monza la nuova Giulia T.I. (Turismo Internazionale, per i profani).
La vettura per l’epoca è una vera perla, di quelle da far luccicare gli occhi agli uomini, preoccupare le donne e far sognare i ragazzini. Grazie alla cilindrata di 1.570 centimetri cubi e all’alimentazione con un carburatore doppio corpo verticale, il motore poteva erogare una potenza di 92 cavalli. Per allora, un mostro di macchina. Il cambio a cinque rapporti, una vera chicca per l’epoca riservata a vettura di alta sportività e classe, aveva il comando con la leva al volante. Il sedile anteriore aveva la seduta in un pezzo unico, che la omologava per sei posti. La plancia incorporava una strumentazione ad andamento orizzontale. Un coefficiente di penetrazione aerodinamica migliore di una Porsche (in pochi capiranno il valore di questa caratteristica, tutti gli altri si concentreranno sul fatto che la Giulia aveva qualcosa di più della Porsche e questo basterà).
A confronto con altre dodici concorrenti di pari classe la Giulia era risultata la più veloce con oltre 175 km/h mentre le alter oscillavano tra i 132 km/h ed i 165 km/h. Il segreto era in quella sua linea “disegnata dal vento”, come si diceva allora, e un po’ oggi fa sorridere. La coda era tronca e migliorava davvero l’aerodinamica – tramandono gli esperti, con poi parlerebbero del motore con le valvole di scarico raffreddate al sodio, delle camere di scoppio emisferiche, del doppio albero. Insomma, nel 1962 guidare una Alfa Giulia era come sedersi al posto di comando dell’Enterprise. «Squadrata e tondeggiante», scrivevano su QuattroRuote quell’anno, non apprezzando le linee estetiche di quel mezzo che invece in quanto a meccanica superava di gran lunga le case concorrenti.
Alla fine si ricredettero e ritrattarono. I giornalisti avventati lo fanno sempre. E così la Giulia prese il volo verso un successo planetario. Data in dotazione a Polizia e Carabinieri la vettura dell’Alfa Romeo diventa l’icona del cinema poliziesco anni Settanta, è stata la prima delle molte Alfa usate dal detective Joseph Matula, la prima in Italia a cui è stata assegnata la targa con una lettera (MI A00000, a Milano ovviamente). Ne ha posseduto un esemplare anche Lucio Battisti e Venditti non ha potuto fare a meno di citarla in «Robin»: «La tournè cominciò da Torino, davanti alle carceri nuove, fregarono una Giulia sorpresa dal mattino e verso sera si misero a suonare». Un successo mondiale. Un traguardo italiano. Un orgoglio alfista.
Francesca Lanzani