Adriano Galliani compie oggi 78 anni. Nel giorno del suo compleanno, il “Condor” ha rilasciato un’interessante intervista ai colleghi di Sportweek. Tanti i temi trattati dall’AD monzese: la promozione in Serie A del Monza e l’attesa spasmodica per l’esordio del 13 agosto, in casa contro il Torino di Ivan Juric; lo Scudetto del Milan e l’Olimpia Milano Campione d’Italia.
Le tre meraviglie: dal basket al calcio
Galliani esordisce così: «Tutto al di là delle aspettative. Tre emozioni incredibili dalle squadre della mia vita. Il Milan ha vinto un campionato capolavoro, l’Olimpia si è presa una solenne rivincita sulla Virtus e quella sera di gara-6 ero al Forum e ho potuto festeggiare con il signor Giorgio Armani e Leo Dell’Orco. La loro storia alla guida del basket milanese mi ricorda un po’ quello che Berlusconi ed io abbiamo fatto al Milan. Ma il filo rosso che lega calcio e basket mi porta all’emozione più grande: quella che ho provato a Pisa dopo quel 4-3 che significava Serie A per il Monza. Quel giorno ho pianto!».
Il pensiero alla finale di Pisa: un’attesa lunga 110 anni
«Era un obiettivo fin da quando Silvio Berlusconi, nel settembre del 2018, ha accettato la mia proposta di acquistare il Monza. Ma riuscirci così rapidamente non era poi così facile. In quei primi minuti, stracolmi di gioia, di festa a Pisa ho pensato a mia mamma che mi portava allo stadio San Gregorio, che poi sarebbe diventato il Sada, quando avevo 5 anni. Ho pensato che per le ultime partite avevo passato più tempo nel Duomo di Monza che allo stadio. Ho pensato a quanti sacrifici e quante delusioni avevano avuto i tifosi del Monza in oltre un secolo. E ci è voluto Berlusconi, al quale sarò eternamente grato, per fare storia e soddisfare una fame lunga 110 anni… Per tutto questo ho pianto come non mi era mai capitato per un evento sportivo. Perché la promozione del Monza in A è un legame fortissimo con le mie radici».
Il Condor a proposito di Silvio Berlusconi…
«Mi invitò a cena ad Arcore il primo novembre del 1979 e cambiò la mia vita. È un uomo di grande visione a cui devo tutto. Mentre gli altri costruivano condomini lui progettava città, mentre gli altri pensavano a come salvarsi lui pensava a una squadra per vincere la Coppa Campioni. Il lei aiuta nella chiarezza dei rapporti. Ricordo sempre come Cesare Romiti spiegava il lei a Gianni Agnelli. Diceva che dare del lei non toglie intimità, ma dà maggiore autonomia».
I campioni del cuore
«Per il Monza sicuramente Daniele Massaro, che avevo preso nel 1975, dall’Oratorio Regina Pacis. È stato anche il nostro primo acquisto al Milan di Berlusconi. Stava andando alla Juventus, mi sono fiondato a Firenze. L’ho stoppato e Daniele, che mi considera come un secondo padre, ha capito che era troppo importante per noi. Per il Milan direi Leonardo, un fuoriclasse come giocatore e come uomo. Quando sono stato a lungo ricoverato al San Raffaele per il Covid, e me la sono vista brutta…, chiamava a casa tutti i giorni per sapere come stavo. Per l’Olimpia: Dan Peterson. Tra noi c’è stima e tanta amicizia. Nel 1987, prima di fare la proposta ad Arrigo Sacchi, avevamo chiesto a Peterson di prendere il posto di Liedholm sulla panchina del Milan… Berlusconi pensava all’allenatore come un motivatore ed eravamo convinti che Dan avrebbe fatto benissimo anche nel calcio».
Le tre più grandi emozioni da tifoso
«Sul podio, senza scegliere l’ordine, ci sono la finale di Coppa Campioni di Barcellona 1989, quella del Milan che rifila un 4-0 alla Steaua Bucarest; stranamente lo scudetto vinto a Perugia nel 1999 con il Milan di Zac e lo spareggio di quest’anno con il Pisa che ha portato il Monza in Serie A».
Il momento più triste
«La finale 2005 col Liverpool di Istanbul. Abbiamo dominato per tutta la partita e abbiamo pagato sei minuti di blackout. Ancora adesso mi chiedo, senza trovare una risposta, come abbiamo fatto a perdere. E non è vero che negli spogliatoi i ragazzi hanno festeggiato dopo il primo tempo. Ero in quello spogliatoio e Carlo Ancelotti invitava tutti a fare attenzione. È successo qualcosa di assolutamente anomalo e non mi do ancora pace».
La più grande pazzia che ha fatto da tifoso
«Sarebbero tante. A me piace ricordare i salti mortali che facevo da giovane per seguire tutte le mie squadre del cuore. Avevo una 500 azzurrina con la quale andavo allo stadio di Monza la domenica alle due e mezzo e poi, appena dopo la partita, mi fiondavo al Palalido a vedere la Simmenthal di Riminucci e Pieri con Rubini in panchina. Era l’Olimpia delle scarpette rosse. La squadra che vinse con Bradley la Coppa dei Campioni del 1966. La finale contro lo Slavia Praga si giocò a Bologna e io c’ero. Ricordo come se fosse adesso il viaggio di ritorno a Monza con la 500 azzurrina e il bandierone dell’Olimpia».
Prima il lavoro o lo sport?
«Sono due facce della stessa medaglia. Nel 1979, dopo la famosa cena di Arcore, Berlusconi mi propose di seguirlo nell’avventura televisiva comprando il 50 per cento della mia azienda. Io accettai al volo, gli dissi che avrei lavorato giorno e notte solo a patto che potessi continuare a seguire il Monza in casa e in trasferta! Il Presidente mi guardò stranito… Poi, col tempo, ha capito: lo ha capito così bene che nell’86, quando acquista il Milan mi vuole al suo fianco. Io devo lasciare il Monza per andare per 31 anni in prestito… al Milan e vincere qualcosa come 29 trofei!».
E adesso, raggiunto il traguardo della Serie A, dove portate i sogni del Monza?
«Mai mettere freno alle ambizioni, ma dobbiamo fare un passo alla volta. Ora l’obiettivo sarebbe fare un buon campionato e puntare nei prossimi anni a guadagnare un posto in Europa. Giocare per una Coppa».
Avete rivoluzionato la squadra.
«Come dirigente ho vinto tutto quello che si può vincere, dalla Serie C al Mondiale per club, passando per la B, gli scudetti e le Champions. So per esperienza che Lega Pro, la B e la Serie A sono tre mondi, tre sport diversi. Per questo abbiamo cambiato così tanto puntando su una squadra di piena identità italiana».
Qual è l’acquisto di cui è più orgoglioso?
«Sono felice che abbia accettato di venire con noi Matteo Pessina. È un monzese come me. Conosco il papà e ho conosciuto suo nonno… Lui è cresciuto nella Dominante, la stessa squadra nella quale avevo provato a giocare anch’io. Ero una punta, ero anche un buon attaccante, ma ero un lazzarone e non inseguivo nessuno… Nel 2015 l’avevo portato al Milan pagando quei 30 mila euro che consentirono ai curatori fallimentari del Monza di pagare gli stipendi dei dipendenti. Poi Matteo è cresciuto fino a vestire la maglia azzurra e ora torna da noi, come capitano del Monza in Serie A! La sua storia mi commuove e sono sicuro che darà energia alla squadra».
Lei è stato un grande protagonista del mercato degli ultimi 35 anni, la chiamano “Il Condor” perché ha una grande visione dall’alto. Ma qual è il colpo che le è sfuggito?
«Ho almeno due rimpianti: Del Piero e Cristiano Ronaldo. Il Padova che ci offrì Del Piero bambino per 5 miliardi e dicemmo di no. E mi dispiace che perdemmo in volata la corsa per avere Cristiano Ronaldo quando passò dallo Sporting allo United. Noi eravamo in ballo, ma gli inglesi fecero un’offerta troppo alta”.
Chi ha vinto questo mercato estivo? Si è rafforzata di più la Juve con Pogba e Di Maria o l’Inter con Lukaku?
«Non rispondo perché tifo Milan…».
Il premier Mario Draghi le ha fatto i complimenti in Parlamento, poco prima di dimettersi. Lei è senatore dal 2018. Si ricandiderà?
«Draghi è venuto verso di me e mi ha detto esattamente: “Complimenti per il Monza in Serie A…”. Mi ha fatto piacere. Non mi ricandiderò. L’ho fatto nel 2018 perché si era appena conclusa la nostra avventura al Milan. Ma adesso il mio impegno è tutto per la squadra. La mia The Last Dance… è il Monza».