Monza e i motori, il Cittadino ospita la presentazione del libro su Tino Brambilla

IL VIDEO - Il giusto omaggio a un figlio di Monza e della sua passione per la velocità. Martedì 29 settembre viene presentato il libro che narra le vicende sportive e umane del pilota Ernesto Brambilla, il “Tino”. Nella redazione del Cittadino alle 17.
Monza, Tino Brambilla durante il collaudo di una vettura Ferrari
Monza, Tino Brambilla durante il collaudo di una vettura Ferrari FABRIZIO RADAELLI

Il giusto omaggio a un figlio di Monza e della sua passione per la velocità. Martedì 29 settembre viene presentato il libro che narra le vicende sportive e umane del pilota Ernesto Brambilla, il “Tino”, campione del passato ma ancora vivo nella memoria di molti monzesi.

L’incontro è in programma in redazione al Cittadino, nella sala Talamoni in via Longhi 3 a Monza. Sotto i riflettori il libro “Mi è sempre piaciuto vincere” scritto da Walter Consonni. Oltre al campione e all’autore, saranno presenti anche molti personaggi che hanno vissuto al fianco del protagonista. Spesso in pista ma anche nella storica officina di via della Birona.

Sarà un’occasione per cavalcare i ricordi e scoprire aneddoti di un mondo che, come lo stesso ex pilota di Ferrari ha avuto modo di toccare nel recente Gran premio, purtroppo non esiste più.

La biografia romanzata di Tino Brambilla era uscita nei giorni del Gp d’Italia. Ecco un estratto di “Mi è sempre piaciuto vincere” pubblicato dall’editore Nada (230 pagine, 25 euro).

“È un giovedì mattina di sole caldo che invita le massaie di Monza e circondario a riversarsi in Piazza Trento e Trieste per il mercato settimanale. Tino mi aspetta seduto sulla cornice di marmo di una vetrina della filiale bancaria sotto casa sua; tiene Buffo al guinzaglio.

“Ciao Sbarbaà, stamattina andiamo con la mia macchina a prendere Clara: oggi è giorno di mercato. Ma io ho il pass” mi accoglie così Tino, con la sua solita prontezza e lucida determinazione. Durante la mia attesa aveva già premeditato il piano perfetto per arrivare fino all’Arengario senza difficoltà. “Bene, allora posteggio qui ma poi, al ritorno, dovrai darmi uno strappo”. “Ghe n’è minga da problema!” (non ci sono problemi) replica lui con il suo piglio sicuro e autoritario. Mi sento intimamente contento di salire in macchina con Tino al volante. Avverto la infantile, gioiosa curiosità di vedere come guida un campione automobilistico a ottantuno anni. La sua prima preoccupazione è quella di sistemare il cagnolino grigio sul sedile posteriore, protetto adeguatamente con una strisciata di tappeti. Poi ingrana la marcia e allo stesso tempo impugna il cellulare per poi formare il numero di Clara. Costei nel frattempo lo sta chiamando a sua volta. Lui si ferma alle strisce pedonali per favorire il passaggio di una signora e reinserisce la prima marcia con la mano sinistra. Contemporaneamente risponde al telefono, percorre la rotondina a sinistra, tiene ben d’occhio il traffico proveniente nel senso opposto. Alla faccia dei riflessi appannati e della coordinazione lenta degli ottantenni. Roba da contravvenzione per comportamento troppo giovanile.

Il programma odierno prevede la lettura di alcuni passaggi controversi di questa bozza; poi mi devo dedicare allo spinoso episodio del Gran Premio d’Italia del 1969, quello del secondo mancato esordio in Formula 1. Glielo anticipo e lui subito, lì in auto, mi riempie le orecchie con un sacco di notizie, ricordi, aneddoti, il tutto condito da interiezioni colorite e divertenti. “Adagio, Tino!” gli dico e lui rallenta. “Ma no, non per la velocità di guida: per questa valanga di notizie! Devo memorizzarle” Insomma, il più anziano dei due non è lui.

Per tutta risposta mi pinza un ginocchio, come solo lui sa fare da che lo conosco. Io salto per la sua presa stretta, repentina e dolorosa. Le mani del Tino sono forti ed energiche come due vere morse da officina. Micidiali. Sia che ti afferri per la spalla e ti stringa il muscolo sterno-cleido-mastoideo, sia quando ti attanaglia sopra la rotula.

Poi afferma con fermezza: “Non ho corso a Monza semplicemente perché quella monoposto, l’unica confermata delle due iscritte al Gran Premio dalla Scuderia Ferrari, non era affatto competitiva”.

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Tra le ultime bancarelle del mercato che fanno capolino su Piazza Roma ecco sbucare Clara. Vede la Renault di Tino parcheggiata vicino al vecchio Diurno e affretta il passo.

Apre la portiera posteriore e rivolge un tenerissimo saluto: ciao, amore!

Tino volge lo sguardo verso di me e guardandomi negli occhi commenta: “L’è minga per ti! (non è rivolto a te!). “E nemmeno per te!” gli rispondo per le rime. Clara bofonchia qualcosa verso tutti e due e noi ce la ridiamo come due vecchi compagni di scuola.

Raggiungiamo in pochi minuti la Trattoria Mamo’s del mio amico Luciano, in Via Beccaria, di fianco alle vecchie carceri di Monza. Tino posteggia con facilità e commenta: Clara dice sempre che per i parcheggi sono molto fortunato!

“Queste mura ormai quasi cadenti ti ricordano qualcosa della tua gioventù, vero Tino?” alludevo alle giornate di castigo da lui scontate nell’ottobre del 1954, dopo la corsa in moto a Monza, a causa di una vecchia lavagna segnaletica e di un poliziotto troppo zelante.

“Lassa sta’! (Lascia stare)” e si avvia con passo svelto all’ingresso. Segno di un buon appetito.

Ordina una pasta al pomodoro ma la tentazione di un buon fegato alla veneta è forte. Lui però sa trattenersi. Io no: e lo ordino.

Di lì a poco ci raggiunge anche il Peo. Pasta in bianco! Mamma mia, sono rimasto l’unico gaudente e amante della buona gastronomia. Tra una forchettata e l’altra io procedo nella disamina di alcuni passaggi leggendoli direttamente dal computer. Sembra che vada tutto bene al Tino e anche a Clara la quale, tuttavia, in almeno tre occasioni interviene con sorpresa: “Ma, Tino, questa storia non la conoscevo!”

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Dopo pranzo risaliamo in auto per accompagnare Clara a casa e passiamo davanti ai casett (alle casette), le prime case popolari nella zona del Macello, forse la zona più malfamata della città dopo la guerra. In via Mentana, procedendo verso Piazza Castello, si passa davanti alla casa di Maria Rosa, la prima sorella di Tino.

Poi faccio un ironico cenno di saluto guardando a sinistra verso il Bar di Stupid, dove però adesso c’è un negozio di abbigliamento. Tino mi fa notare che poco più avanti, sull’altro lato della strada, si trovava il Bar della Figadòra, un locale che faceva da contraltare a quello vicino.

Figadòra l’ho scritto di proposito tutto attaccato per comprensibili e opportuni motivi di decenza. Si mormora che al banco di questo locale servisse verosimilmente una giovane, bella e apprezzata signora, suo malgrado motivo principale del goliardico appellativo affibbiato all’esercizio pubblico – peraltro serio e laborioso – da qualche buontempone monzese sicuramente di sesso maschile.

Del resto, almeno fino alla fine degli anni Sessanta, i soprannomi erano un vezzo tipico della gente comune diffusissimo in tutte le regioni italiane. Una normale usanza sociale, con profonde radici nel popolo, nel volgo, e quindi, in molti casi, una usanza anche dai toni volgari. Non c’era famiglia, persona o luogo esente da un nomignolo o uno pseudonimo”.