Mio marito è in carcere e temo per il Covid. Posso sperare nei domiciliari, come accaduto a un noto uomo politico?

Nella rubrica “L’avvocato risponde” il delicato tema del Covid nei penitenziari affollati. Risponde l’avvocato Marco Martini.
MONZA CARCERE
MONZA CARCERE Radaelli Fabrizio

Buongiorno,
Sono una donna il cui marito si trova in carcere. Ho letto da pochi giorni che un uomo politico famoso è stato messo agli arresti domiciliari per il fatto della presenza del Covid nel penitenziario.
Posso pensare che anche per mio marito ci possa essere lo stesso trattamento?

Buongiorno signora.
Dalla sua lettera non posso capire se suo marito sia in carcere perché attinto da una misura custodiale (cioè sia ancora con un procedimento o processo pendente) o se sia definitivo (se la sentenza a suo carico sia passata in giudicato).

Le due ipotesi conducono a conclusioni molto diverse.

Quanto alla vicenda di cui mi scrive, se è quella a cui penso io, riguarda un signore di una certa età, per quel che ho letto colpito da alcune patologie, a cui è stata concessa la misura della detenzione domiciliare come differimento pena (almeno penso). Si tratta però di un soggetto giudicato in via definitiva. In questi casi, in presenza di un ordine di esecuzione, di un soggetto in carcere, di un soggetto che versi in condizioni di salute particolarmente gravi, è possibile fare leva sulla questione Covid e ottenere, qualche volta (non certo in maniera automatica) la concessione di un beneficio penitenziario come quello della detenzione domiciliare (gli arresti domiciliari del definitivo) come differimento della pena.

Se invece si discute di un soggetto che si trovi in carcere perché colpito da ordinanza di custodia cautelare, che sia in fase di indagini, che sia già stato giudicato in primo grado, o in appello, ma che non sia ancora definitivo, la questione della presenza del COVID nelle carceri incide purtroppo molto meno.

Le segnalo che sia il presidente emerito della Corte costituzionale, dottor Flick, che il procuratore generale della Corte di Cassazione, dottor Salvi, hanno, nel corso del 2020, più volte evidenziato che la misura del carcere, soprattutto in tempi di Covid, debba essere l’extrema ratio, l’ultima misura, applicabile solo e soltanto quando ogni altra non sia utilizzabile (domiciliari, obbligo di firma, obbligo di dimora).

Nonostante i richiami dei massimi esponenti del mondo della giustizia, in verità nulla o poco è cambiato.

Un soggetto può rimanere sottoposto alla misura della custodia in carcere, valutati i gravi indizi di colpevolezza, quando vi siano esigenze di cautela quali quelle del pericolo di inquinamento probatorio, del pericolo di fuga, del pericolo di reiterazione del reato.

Giova segnalare (cito fonti ANSA), che vi sia stata una impennata di contagi da Covid-19 nelle carceri milanesi. In una settimana i casi tra i detenuti sono cresciuti di oltre il triplo, mentre in tutta l’Italia sono aumentati del 25%. E’ il quadro che emerge dagli ultimi dati comunicati dal Dap ai sindacati della polizia penitenziaria, aggiornati al 14 gennaio.

A Bollate erano 36 il 7 gennaio i positivi e ora sono saliti a 109, a cui va aggiunto un altro detenuto ricoverato in ospedale. A San Vittore invece i casi sono 59 (erano 17).

In tutto il Paese i detenuti positivi sono 718 (681 asintomatici, 11 con sintomi e 26 ricoverati). Il 7 gennaio erano 556. In tutte le carceri della Lombardia i casi di Covid 19 sono 228, quasi un terzo di quelli nazionali.

In tutta Italia poi i poliziotti penitenziari contagiati sono 640. Sommati al personale (61) portano a 701 il totale dei positivi nell’amministrazione penitenziaria.

Di fronte a questo quadro, che passa sotto silenzio, mi pare, nelle cronache italiane, concentrate su altri temi, si dovrebbe pensare che il pericolo sia concreto ed attuale, ed affatto superato.

Lei comprenderà che il rischio assembramento in una cella sia praticamente impossibile da evitare.

Anche se in questo momento i colloqui con i familiari sono sospesi ed anche quelli con i legali, tranne casi di assoluta urgenza, sono sconsigliati, suggerendo invece quelli telefonici.

Nonostante questa situazione, per quel che riguarda la mia esperienza, non ho potuto constatare che da parte dell’Autorità Giudiziaria vi sia stata una comprensione del rischio sanitario e quindi una rimodulazione delle misure cautelari in funzione della presenza del Covid.

Certo, molto dipende dal titolo di reato per cui suo marito si trova ristretto in carcere, dall’eventuale passato giudiziario a carico dello stesso, dal comportamento processuale.

Per rispondere quindi alla sua domanda, pur a fronte dei pochi dati a mia disposizione, posso dire che: se si tratta di detenuto definitivo in condizioni di salute particolarmente gravi, può indirizzare istanza di detenzione domiciliare come differimento pena al Magistrato di Sorveglianza competente, in via provvisoria; se invece si tratta di soggetto in custodia cautelare in carcere, potrà avanzare istanza di revoca e/o sostituzione della misura al Magistrato competente (che sia il GIP, il Tribunale/Corte di Assise, la Corte di Appello/assise appello), indicando tra le diverse ragioni anche la presenza del Covid nel proprio istituto penitenziario, senza però che questa questione possa diventare dirimente per l’accoglimento della richiesta.

Avv. Marco Martini *

* Iscritto all’ordine degli Avvocati di Monza dal 1997. Nato a Vicenza e dal 1984 vive a Monza, ha frequentato il liceo classico Zucchi e si è poi laureato presso l’Università statale di Milano. Socio fondatore della Camera penale di Monza, ha conseguito diploma della Scuola di Alta specializzazione della UCPI; iscritto alle liste del patrocinio a spese dello Stato, delle difese d’ufficio, si occupa in via esclusiva di diritto penale carcerario e societario.