La notizia-choc dell’arresto di un insospettabile architetto brianzolo e dipendente comunale nell’ambito delle indagini sui “fiancheggiatori” che avrebbero favorito la latitanza del “capo dei capi” di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, ha riportato brutalmente sulle prime pagine dei quotidiani italiani lo scomodo tema della presenza mafiosa nella nostra provincia. Una ferita aperta, soprattutto, a partire dall’operazione “Crimine Infinito” e dai blitz dell’estate del 2010, che coinvolsero tremila uomini delle forze dell’ordine e che, a distanza di oltre un decennio, non sembra volersi rimarginare. Certo, a chiarire (confermandoli o smentendoli) i fatti, in questo nuovo e specifico caso, come sempre, sarà la magistratura, ma la sgradevole sensazione che la Brianza sia ancora esposta più di altre aree a possibili infiltrazioni della criminalità organizzata non accenna a placarsi. E, forse, è un bene.
Perché, per quanto drammatiche, notizie come queste dovrebbero spingere tutti coloro che hanno un potere decisionale, piccolo o grande e a qualsiasi livello (in politica, nella pubblica amministrazione, nelle imprese) a tenere alta la guardia e, soprattutto, a proteggere sé stessi e la propria comunità da influenze nefaste. Influenze che, con i valori che hanno fatto grande il nostro territorio, dovrebbero essere incompatibili.